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Robert
Wyatt - Artista in piena libertà ma con aiuti dal
jazz - Musica Jazz Anno 60 - N° 5 - Maggio 2004
Robert Wyatt - Artista in piena
libertà ma con aiuti
dal jazz
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Molto spesso il cantante, compositore e
strumentista inglese ha fatto ricorso ai
campioni dell'improvvisazione: ieri Mongezi Feza
o Evan Parker, oggi Annie Whitehead o Karen Mantler.
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Com'è nato il tuo ultimo album,
"Cuckooland"?
Ho pensato: "Nel 2005 avrò sessant'anni! Se
non faccio qualcosa, il futuro è adesso".
Sono sorpreso di essere tuttora qui, nel nuovo secolo:
stavo giusto incominciando ad abituarmi all'altro ed ecco
che mi prendono e mi buttano in uno nuovo, apparentemente
simile ma bizzarro. Mi sento come depositato in uno strano
luogo. A parte ciò, ho sempre accumulato schizzi,
bozzetti: ci lavoro su per un mese o due, a casa, finché
qualcosa non m'interrompe. Ma pian piano accumulo materiali.
E poi ci sono sei brani non scritti da me né da
Alfie, tre dei quali sono della mia amica Karen Mantler.
Come hai lavorato con lei?
Karen vive a New York ma nel 2002 è venuta in Europa
con la band di sua mamma, Carla Bley, e per un concerto
con Peter Blegvad a Ferrara. Si è fermata un po'
da suo papà Mike e ne abbiamo approfittato per
incidere insieme sei o sette canzoni scritte da lei: un
buon modo per cominciare le registrazioni di "Cuckooland",
perché c'erano le strutture, gli accordi e dovevo
soltanto trovare un simpatico suonaccio di sintetizzatore.
Benché in Europa i suoi dischi siano usciti quasi
tutti per l'Ecm (licenziataria della Watt di Carla
Bley), ho pensato che quelle canzoni non richiamassero
alla mente le cantanti Ecm o l'ambito in cui lei lavora;
e che sarebbe stato interessante decontestualizzarle,
senza preoccuparmi di essere "corretto" e di
non stravolgere, per esempio, le melodie. Perciò
ho inserito in "Cuckooland" le sue canzoni
di cui già esiste su disco la versione originale
incisa da lei a modo proprio. così , chi non apprezza la
mia interpretazione può recuperare gli originali:
Beware e Mister E vengono da "Farewell"
(X-traWatt), mentre Life Is Sheep da "Pet
Project" (Virgin francese, che però non
l'ha fatto circolare molto). Per le altre (che comunque
non abbiamo concluso), aspetterò fin quando Karen
non pubblicherà le proprie versioni.
Insieme interpretate anche Insensatez di Antonio Carlos
Jobim e Vinicius de Moraes.
Ciò che mi piace della voce di Karen è che
non corrisponde all'idea che si ha comunemente di una
cantante jazz e certamente non è una cantante rock;
possiede una specie di assoluta e spontanea chiarezza,
semplicità, modestia. Trovo il suo modo di cantare
molto in sintonia con il mio. Mi ricordava Astrud Gilberto
e così ho voluto vedere se funzionava su Insensatez: direi
proprio che - si - è nelle sue corde. Ho deciso
di usare un ritmo che non fosse esattamente bossa nova
e neppure un beat moderno; abbiamo ridotto il tutto a
un disegno minimo di accordi e così via. È uno
dei brani in cui si sente il karenotron, cioè la
voce di Karen campionata su tutta la scala e suonata tramite
una tastiera. È uno strumento, che è Karen:
questo mi piace. L'ho chiamato così perché è
un po' una versione evoluta del mellotron che suonavo
con i Matching Mole. Lotto sempre contro la purezza degli
strumenti elettronici, tentando di sporcarne il timbro.
Robert
Wyatt in un ritratto del settembre 2003 e,
a fronte,
visto da Alfie (sua moglie,
la pittrice Alfreda Benge)
sulle copertine di "Dondestan",
"Shleep" e "Flotsam
Jetsam". |
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Come hai scelto i musicisti ospiti
e come hai impostato il rapporto con loro?
In genere cerco di incidere i dischi
in modo completamente autonomo e quindi sono preparato
a lavorare da solo, com'è accaduto in "Old
Rottenhat", "Dondestan" e nella
gran parte di Moon In June. Adesso registro io
le parti di voce, pianoforte, tastiere, tromba, cornetta,
batteria e poi mi chiedo: "Di che cosa ha ancora
bisogno questa canzone?". Non penso necessariamente
a uno strumento ma a un musicista, perché se tra
noi c'è un'intesa, un'empatia, quasi non importa
che cosa suoni o in quale idioma suoni. Oggi come oggi,
la prima cui mi rivolgo è Annie Whitehead, che
è molto versatile: suona il trombone con Roswell
Rudd e partecipa a concerti di free jazz ma anche a dischi
delle Spice Girls o reggae e a parecchie altre cose. Tecnicamente
ha una formazione molto più accademica della mia
e così può aiutarmi ad analizzare meglio le mie
canzoni, che molto spesso butto giù a istinto.
Talvolta le indico in quali punti suonare oppure le chiedo
solamente di darmi una mano con l'armonia. In Just
A Bit volevo che entrasse intorno a metà brano
per rafforzare le tastiere ma senza dare l'idea di uno
strumento del tutto diverso: soltanto un'aggiunta discreta.
Poi le ho detto: "Sul finale la voce si piega un
paio di volte e tu potresti fare qualcosa di simile con
il trombone", senza specificare che cosa. In Lullaby
For Hamza ho arrangiato un paio di linee armoniche
discendenti del trombone e ho voluto soltanto che registrasse
tutta la canzone in una volta sola; lei suona la melodia
più o meno come la canto io e poi, una o due strofe
dopo, Jennifer Maidman (cui avevo chiesto: "Potresti
suonare per tutto il brano? Questi sono gli accordi e
questo è ciò che faccio io") improvvisa
un assolo di fisarmonica. Registro tutto per conto mio
e poi lavoro con gli altri individualmente, uno alla volta:
"Potresti mettere qualcosa in questo spazio che ho
creato?". Il più delle volte hanno molta libertà,
anche se so dove li voglio, perché li voglio, quale
suono voglio. In Insensatez l'armonica di Karen
si limita a riprendere la melodia, perché volevo
tenermi l'assolo per qualcos'altro. Non mi va che un disco
sia una mera serie di assoli: ce ne sono ma volevo che
fossero nei momenti giusti e così in quella bossa nova
ho mantenuto uno stretto controllo su tutto tranne che
sul finale, dove ho semplicemente chiesto a Gilad Atzmon
di suonare, al clarinetto; e quindi si crea una sorta
di tensione.
Annie Whitehead ha anche riarrangiato
un bel po'di tue canzoni nel suo progetto Soupsongs: quel
suo approccio ai tuoi materiali ha avuto a sua volta un'influenza
sul tuo modo di comporre e arrangiare, quando ti sel dedicato
a un nuovo disco?
Non ci avevo pensato ma credo che una delle ragioni
per cui oggi arrangio i miei brani in questo modo sia
l'aver ascoltato come Annie ha fatto suonare la mia musica
da quella band. Annie, Janette Mason, Liam Genockey e
gli altri membri di Soupsongs hanno trovato un elemento
jazz nelle mie canzoni (anche se non l'avevo pensate come
jazz), una specie di fluidità, che forse avrei
voluto io fin dal principio se avessi lavorato con un
gruppo. E questo mi ha incoraggiato. Alfie mi ha detto:
"Potresti lavorarci sopra; non devono essere soltanto
gli altri a farlo". Quando qualcuno reinterpreta
le mie canzoni, le riascolto alterate da idee e prospettive
differenti e, quando mi rimetto al lavoro, ho un'idea
più ampia di come potrebbero essere.
In "Cuckooland" ci sono tanti ospiti ma tu stesso suoni
di più.
Ho esteso le parti di batteria che prima
suonavo soltanto con spazzole e piatti: ho cercato d'immaginare
modi differenti di creare trame ritmiche e di tenere il
tempo. Adesso vivo nel nord dell'Inghilterra ma fino a
una quindicina d'anni fa abitavamo in un appartamento
più vicino a Londra e meno spazioso: era carino
ma i vicini si lamentavano se facevamo rumore e così la
mia musica divenne sempre più essenziale, una specie
di musica da camera da letto. Mi sta bene: posso lavorarci
su come un monaco amanuense nella sua cella, inventando
soluzioni come "Old Rottenhat". Invece
nello spazio che ho adesso posso tenere tutti i miei piatti,
il pianoforte, le percussioni, la tromba... E mi godo
la possibilità di suonarli davvero. Faccio più
rumore, più spesso: negli ultimi anni ho ritrovato
sempre più il puro e semplice piacere fisico di
suonare. Negli ultimi dieci anni mi sono poi dilettato
a suonare la cornetta (partendo dalla tromba, cui m'ero
dedicato per un paio d'anni quando ne avevo sedici) e
improvvisamente ho scoperto che riesco a sentire meglio
le note: forse ora conosco meglio la musica. E mi diverte
molto, a casa, impratichirmi facendo karaoke con la tromba
su ballad jazzistiche lente (mi danno il tempo di trovare
la tonalità): Sarah Vaughan e cose del genere.
A quali trombettisti o cornettisti t'ispiri?
Be', alcuni sono proprio ovvi ma il mio principale ispiratore
è Johnny Coles, che a partire dal 1958 lavorò
con Gil Evans quando il trombettista non era Miles Davis,
rispetto al quale Coles ha un modo di suonare più
lieve, "domestico", cauto; in un certo senso
è più vicino a Chet Baker ma è molto
particolare. Tra i dischi che Coles incise con Evans,
è davvero bellissimo "Out Of The Cool",
dove c'è anche Jimmy Knepper al trombone. Lo consiglio
caldamente anche a chi non saprebbe dire se gli piaccia
il jazz: è jazz ma è come pura melodia dall'inizio
alla fine.
Nell'idea dl abbinare una tromba alla tua voce ha avuto
qualche peso il ruolo di Mongezi Feza nei tuoi dischi
degli anni Settanta?
Immagino di si. Non mi sono mai trovato a mio agio con
il solito voce-chitarra del rock. L'apprezzo quando sono
altri a farlo e conosco bravi chitarristi rock - Mike
Oldfield, Paul Weller, David Gilmour, Phil Manzanera.
. . - ma sento che il complemento naturale della mia voce
sia una tromba. Nella mia testa, l'abbinamento ideale
è sempre stato quello con Mongezi, che morì quando
avevamo entrambi trent'anni. Alla fine mi sono rassegnato
a occuparmene personalmente.
Feza era uno dei jazzisti sudafricani che giunsero
in Gran Bretagna negli anni Sessanta...
Il loro arrivo fu molto importante per Londra. Negli anni
Trenta-Quaranta, il jazz era stato una sorta di popular
music (comprendente anche ballo e canto) ma pure il
luogo di un'incredibile espansione nelle idee armoniche,
ritmiche e melodiche. Nei decenni successivi parve che
si potesse solamente imboccare una strada o l'altra: o
diventare una specie di orchestrina da ballo o addentrarsi
nelle zone inesplorate del jazz, come per esempio l'improvvisazione
totale. Fu allora che giunsero a Londra i sudafricani,
i quali semplicemente facevano entrambe le cose e pure
bene, come Dudu Pukwana e Mongezi che potevano felicemente
suonare township music per tutta la notte - meravigliosa
musica da ballo, musica per la comunità - e poi,
rimanendo interamente se stessi, dedicarsi con la massima
partecipazione al più sfrenato free jazz con Paul
Rutherford, Evan Parker o Keith Tippett. Fu davvero una
forza guaritrice. Portarono a Londra una tale joie
de vivre (lo so: è un'espressione sciocca)
che tutti li amarono. Per me e per moltissime persone
con cui ho sempre lavorato o lavoro fu un grande momento.
Annie Whitehead amava suonare con Dudu più che
con chiunque altro. Harry Beckett, un bravissimo trombettista
delle Barbados, fu come fulminato da Mongezi, non per
la tecnica ma per il feeling, il timbro, l'intensità,
la serietà con cui suonava; persino oggi gli vengono
gli occhi lucidi quando lo ricorda. È insolito
che un gruppo così piccolo di musicisti abbia un impatto così forte, specialmente in una città come Londra,
tanto cauta e paranoica verso i nuovi arrivati: c'era
una sorta di competitività, che i sudafricani spazzarono
via.
Quali sono i tuoi batteristi preferiti?
Le registrazioni più antiche che ho sono quelle
di Baby Dodds con Armstrong e altri: mi appassiona tutta
la storia di quella che è diventata la batteria
jazz, nata all'inizio del Ventesimo secolo riunendo gli
strumenti a percussione delle marching bands di
New Orleans (cassa, rullante, piatti. . .). Negli anni
Quaranta ha incominciato a sviluppare un ruolo più
fluido e ambiguo, non limitandosi più a marcare
chiaramente il tempo. Verso la metà del secolo
i jazzisti presero a inventare giochi interessanti con
il tempo e l'armonia, cosicché ciascuno girava
attorno alla melodia ma al tempo stesso la evitava, per
così dire. Si affermarono Kenny Clarke, poi Max
Roach e uno dei miei preferiti: Danny Richmond, il batterista
di Mingus. È quello il periodo che davvero ispirò
la mia decisione di suonare la batteria. In seguito il
drumming del rhythm'n'blues (molto più simile
a quello netto e solido come roccia del jazz delle origini)
ritornò attraverso il rock'n'roll. Apprezzo molte
cose del rock e le uso ma preferisco sempre quella sorta
di ambiguità dei miei batteristi jazz preferiti.
Per esempio, quando Elvin Jones suona tre o quattro battute
d'introduzione a un nuovo assolo, è probabile che
aggiunga anche una battuta extra, esattamente dopo il
beat. Rovescia il beat come un calzino. Quindi
i suoi partner devono realmente fare attenzione a dove
si trovi. Amo i batteristi che non stanno mai sul beat
ma ci giocano sotto, sopra, a lato! Ed è per quello
che non suono davvero la batteria in modo rock; ciò
che faccio è sempre meno rock e sempre più
simile a uno schivare il traffico. Rallentando, accelerando,
esitazioni: sono il mio pane. E mi pare che siano la cosa
giusta per le mie canzoni.
Mi dicevi anche qualcosa di Jimmy Cobb...
Un tempo non m'interessava molto Cobb - né Billy
Higgins e altri batteristi "regolari" - perché
ha uno stile assai semplice. Ma, quando ho tentato di
riprendere la batteria dopo essere diventato paraplegico,
ho pensato: "Che cosa posso realmente fare?"
, perché ovviamente non posso usare charleston
e cassa, e così in tempi recenti ho incominciato
ad ascoltare batteristi che facciano un uso minimo del
charleston ma nondimeno swinghino e siano realmente completi.
Mi sono interessato di più alla mera magia del
percuotere, del tenere il tempo: dèn dèn-ghedèn
dènghedèn. Da giovane cercavo sempre nuovi
giochi percussivi. Adesso m'interessa particolarmente
quel modo liscio, piano, di tenere il tempo che avevano
Cobb e Higgins, soprattutto perché è divenuto
un anacronismo: in Trickle Down suono din dinghidin'
tinghidin tsinghidin; nessuno suona più un
jazz così regolare. Cobb non è stato mai
veramente apprezzato quanto meriterebbe, perché
Davis ebbe batteristi spettacolari prima e dopo di lui,
che così venne considerato semplicemente il tipo
regolare nell'intervallo tra essi. Ma in realtà
Davis incise alcuni dei propri dischi più belli
nel periodo con Cobb, proprio perché questi lasciava
così tanto spazio. In genere, chi ascolta "Kind
Of Blue" (probabilmente il disco più fortunato
di Davis) non resta colpito dalla bravura di Cobb, a meno
che non sia lui stesso un batterista: io, da batterista,
posso sentire che cosa non fa.
In Trickle Down e Old Europe la prospettiva jazzistica
è più esplicita di quanto non sia mai stata
nei tuoi album solistici.
Old Europe è un'evocazione del periodo della
mia gioventù in cui scoprii il jazz, che stava
ancora inventando se stesso. In Trickle Down volevo
invece rovesciare un paio di consuetudini. Non amo affatto
la fusion; molti se ne sorprendono perché ho un
po' un piede nel jazz e uno nel rock ma proprio non mi
dice nulla l'idioma musicale chiamato jazz rock: di solito,
si tratta di jazzisti che si fanno crescere un pochino
i capelli, adottano titoli spirituali per i propri album
e fanno assoli su quello che pensano sia un ritmo rock
(e in genere lo è ma suonato in modo molto virtuosistico
e tuttavia con l'aria di chi fa girare i pollici). Non
voglio insultare nessuno; è semplicemente una sensazione
personale. Lo ho voluto invece ignorare del tutto la componente
rock del jazz rock: al suo posto ho messo una fluida linea
di basso walking, sulla quale non c'è alcun
assolo vero e proprio. Ritmica e solisti si scambiano
i ruoli: l'evento principale è la ritmica, le cui
trame timbriche sono tessute dagli aggeggi di Eno, mentre
gli assoli sono soltanto piccoli frammenti spezzettati,
ricordi di assoli jazz sparsi tra i piatti.
Robert
Wyatt con Annie Whitehead,
Londra 1999.
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I solisti non sono mai stati la tua
passione...
Fin dai miei primi ascolti di jazz, soprattutto di modern
jazz, mi sembrava di non capire gli assoli. Tutte quelle
note, così veloci: non sapevo cosa fossero e non riuscivo
ad ascoltarle. Ma ero affascinato dalla musica e dalla
sua urgenza: quella combinazione di abbandono e rigorosa
disciplina. Soprattutto, ciò che mi rese capace di ascoltare
con autentico piacere fu il fatto che capissi le melodie
poste all'inizio e alla fine di ogni brano jazz di quei
giorni. In quanto melodie le si poteva imparare, cantare.
È l'elemento canzone, che nel jazz è usato solamente come
una specie di trampolino, per preparare il terreno al
solista creando una sequenza di accordi e un ritmo. Lo
invece amavo quei temi di per sé. Ed è ancora così: alcune
delle mie canzoni mi sembrano trampolini per assoli jazz
che poi non arrivano.
Hai anche registrato tue versioni di classici del jazz,
sebbene arrangiati in un modo che non è esattamente
jazz. Quali altri ti piacerebbe rivisitare?
Non saprei. Quando interpreto musica altrui, cerco un
elemento puramente musicale che possa essere decontestualizzato.
Qualunque brano - una canzone di Buddy HolIy, una bossa
nova, una composizione di Monk - è associato a
un determinato genere ma una melodia davvero bella dovrebbe
essere abbastanza robusta da poterla sentire come nuova
se si cambia idioma. M'è sempre garbato farlo.
Se vivessi in salute per altri cent'anni, dedicherei un
lungo progetto alle bellissime composizioni di Thelonious
Monk: sarebbe delizioso rivisitarle tutte (una cinquantina)
in modo non jazzistico, come miniature, quasi come certe
brevissime pagine "aforistiche" di Anton Webern
(e anche di Alban Berg).
Nonostante il tuo amore per il jazz, fai una musica
che non viene definita jazz, neppure da te.
Be', prendiamo la musica andalusa: Cante hondo, flamenco...
Ne troviamo tracce nei compositori non solo spagnoli ma
anche francesi e in altri ancora ma alla fine il flamenco
è flamenco: fondamentalmente è musica gitana
spagnola ed è la loro lingua, inventata da loro.
Le mie radici sono in una sorta di pop inglese e quindi
non nella medesima cultura di Louis Armstrong e John Coltrane:
la uso come una musa tra gli elementi che possono essere
agevolmente tradotti e inseriti nella mia musica ma non
tento di assumere un accento musicale statunitense. C'è
chi ci riesce e talvolta lo desidero anch'io. L'ho anche
fatto: per esempio, è evidente che in Old Europe
suono la tromba evocando un certo jazz e che Gilad fa
esattamente ( e meravigliosamente ) lo stesso al sax tenore.
C'è anche chi riesce a impadronirsi di un'altra
lingua: quella di Joe Cocker è una versione per
lui perfetta di un modo di cantare à la
Ray Charles. Per lui funziona e non è un limite
ma l'idea di cantare a quel modo viene interamente da
Ray Charles. Personalmente, alla lunga mi sento a mio
agio soltanto quando faccio qualcosa con la mia
voce, davvero a modo mio.
Comunque hai suonato con jazzisti importanti: per esempio
con Paul Bley, nel 1971.
Proprio cosi: Con il grande Paul Bley, anche se ero troppo
emozionato per rendermene conto. Era in tour Con Annette
Peacock (all'epoca stavano insieme), la quale scopri che
ero a zonzo; pensarono che fosse simpatico chiedermi di
suonare la batteria con loro e io accettai. Il concerto
si tenne al Country Club; lui aveva un muro di sintetizzatori
e lei faceva esperimenti con la voce. Erano molto in anticipo
sui tempi. Ero terrorizzato da Bley. Era grande amico
di un altro canadese che sarebbe diventato mio amico:
Paul Haines, il poeta che ha lavorato con Carla Bley e
molti altri. Ma, essendo appena stato cacciato dai Soft
Machine, ero proprio impaurito dai musicisti: "È
ovvio che non ho i requisiti per lavorare con alcuno di
loro". Quindi mi sentii davvero onorato dalla proposta
di Annette, cui sarò sempre grato, perché
mi aiutò a riguadagnare fiducia in me stesso. Fu
meravigliosa. Da allora siamo rimasti sempre amici e ci
teniamo tuttora in contatto.
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In Old Europe si accenna alle
"Indigo nights": è per caso un riferimento
a quando, giovanissimo, suonasti per un'estate (nel 1964)
come batterista con la ritmica residente dell'Indigo Jazz
Club di Palma de Maiorca?
Non ci avevo pensato. All'lndigo c'era Ramón Farran:
per me fu una sorta di mentore e io lavorai un pochino
nel suo club. Suonavo, anche, ma per lo più distribuivo
dépliant ai turisti e cose così. Il testo
di Old Europe è di Alfie, che ha inserito
certe immagini, brevi frasi in francese, parole tipiche
del jazz di quegli anni, per fornire un contesto, un quadro
generale. Per esempio trovi la parola "indigo"
in Mood Indigo (eccone un'altra con cui mi cimenterei:
bellissima melodia). Alfie è una pittrice e l'indaco
è un colore particolare per lei. Inoltre conosce
bene il jazz che amo, conosce Parigi e conosce quel periodo
(siamo più o meno della stessa generazione). Ha
un modo unico di scrivere e semplicemente funziona per
me.
Quali sono i tuoi preferiti tra gli autori di canzoni?
Una canzone è fatta di parole e musica; ma alla
fine ritengo che la cosa importante sia il suo suono.
Quando scrive le parole di una canzone, Alfie sa che non
funzionano come in una poesia. un buon testo di canzone
non è necessariamente una bella poesia. Nell'ultimo
anno non ho ascoltato tanta musica perché ho passato
tutto il tempo a lavorare con Karen (ecco uno dei miei
autori preferiti), Alfie e compagnia bella, e quindi per
poter procedere ho spinto sullo sfondo le cose che ho
ascoltato nel passato e da cui ho imparato nell'università
del mondo, e mi sono invece concentrato di più
sulle persone attorno a me e su ciò che facevamo.
Perciò non mi vengono in mente tutti i miei preferiti
ma. . . Be', Antonio Carlos Jobim e altri autori brasiliani.
Cole Porter, perché era molto bravo sia con la
musica sia con le parole. I fratelli Gershwin: fantastici.
Randy Newman, che ha scritto più di trent'anni
fa la miglior canzone sulla situazione attuale - Political
Science, sulla politica estera statunitense - e una
bellissima Gods Song. Kurt Weill e Bertolt Brecht:
la perfetta combinazione tra rigore delle parole e rigore
della musica; Weill scrisse bellissime arie anche dopo
gli anni berlinesi - ne ho cantata una, September Song
- ma i frutti meravigliosi del sodalizio con Brecht restano
ineguagliati.
Quali dischi ascolti di plù?
Be', per esempio Gilad Atzmon ha inciso con Yaron Stavi
e altri un disco intitolato "Exile".
Nei primi due brani c'è Reem Kelani, una cantante
folk palestinese che vive a Londra. E in tutto il disco
Gilad esprime chiaramente la propria solidarietà
con le persone che vengono dalla sua stessa terra ma paradossalmente
hanno potuto sentirsi libere di lavorare insieme solamente
quando ne sono state lontane. Gilad era nell'esercito
israeliano; anche Yaron viene da Israele. Se ne sono andati
perché non amavano il narcisismo spirituale. Sono
jazzisti: a loro piace la libera comunicazione con tutte
le culture, compresa quella araba.
Dal 1979 hai militato attivamente nel Partito comunista
britannico, dal quale sei uscito una decina d'anni dopo:
restando comunista?
Sì, perché l'alternativa sarebbe essere
ex comunista, che è una delle professioni più
codarde che si possano trovare nei media; insomma, ho
troppo amor proprio per diventare ex comunista. Detto
questo, mi considero comunista con la convinzione che
sia ancora soltanto l'idea di una possibile alternativa
di cui non si può fruire; lo stesso si può
dire del cristianesimo, per esempio, ma ancora i cristiani
continuano a cercare una via. Una cosa è certa:
il modo in cui adesso gestiamo internazionalmente i rapporti
militari ed economici porta inevitabilmente alla destabilizzazione
e a conflitti senza fine. Il capitalismo è rivoluzionario,
nel senso che dovunque arrivi cambia tutto, talvolta in
modo positivo. Marx era molto impressionato dal capitalismo,
perché muove ogni cosa e quindi si ha la possibilità
di fare qualcosa di nuovo. Perciò non è
onesto accusare i comunisti di essere rivoluzionari per
il fatto che vogliono cambiare il mondo tradizionale:
è già il capitalismo a farlo. Lo si può
vedere ovunque: Africa, Sudamerica... Non può esistere
un capitalismo stabile: deve sempre espandersi per sopravvivere.
Conquistare di più, prendere di più. E allora
le bombe che esplodono a caso nelle nostre città
e gli scoppi irrazionali di odio e paura sono conseguenze
inevitabili.
Alessandro Achili
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UN GRAVE INCIDENTE NON HA FERMATO QUELLA SUA MUSICA
IMMAGINIFICA
Nato nel 1945 a Bristol, Wyatt si trasferisce una
decina d'anni dopo a Canterbury, dove la casa dei
genitori diviene una sorta di cenacolo artistico e
le musiche ascoltate sono quelle di Ceci Taylor, Schönberg,
Webern, Stockhausen, Dolphy, Coleman, Coltrane, Sciostakovic,
Hindemith, Bartók, Ellington, Elis, Byard,
Mingus... Nel 1964 Wyatt è batterista e cantante
dei Wilde Flowers: canzoni originali e covers
di rhythm'n'blues, soul, pop e jazz (Cannonball, Coltrane,
Ellington, Hancock, Monk, Timmons). Nel 1966 è
trai fondatori dei Soft Machine (vedi recensione di
"Bbc Radio 1967-1971", in Musica
Jazz n.6 2003). Nel 1971 forma i Matching Mole:
jazz elettrico inframmezzato da esperimenti e canzoni.
Nel giugno 1973 cade da un quarto piano e perde l'uso
delle gambe ma non la voglia di far musica.
Frequenti sono le presenze jazzistiche nei suoi album
(in gran parte ripubblicati - o pubblicati per la
prima volta - da Hannibal in Europa e Thirsty Ear
negli Stati Uniti): Mark Charig, Elton Dean, Neville
Whitehead, Las Vegas Tango (Gil Evans) e una
dedica a Carla Bley in "The End Of An Ear"
(1970); Mongezi Feza, Gary Windo e Laurie Allan in
"Rock Bottom" (1974; c'è anche
Hugh Hopper), "Ruth Is Stranger Than Richard"
(1975; ci sono pure George Khan e Song For Che
di Charlie Haden) e in alcuni degli Ep e 45 giri tiuniti
in "Eps" (1999), dove appaiono anche
Dave MacRae, Hopper, Memories Of You (Eubie
Blake), Chairman Mao (Haden) e 'Round Midnight,
Harry Beckett, Frank Roberts, Mogotsi Mothle e Strange
Fruit negli altri 45 giri raccolti in "Nothing
Can Stop Us" (1982); Philip Catherine, Evan
Parker e Annie Whitehead in "Shleep"
(1996-97); Gilad Atzmon, Yaron Stavi, Karen Mantler
e Annie Whitehead in "Cuckooland"
(recensito, con "Solar Flares Burn For You",
in Musica Jazz n.12, 2003).
Sono incisi in solitudine "The Animals Film"
(1981), "Old Rottenhat" (1984-85,
con il canto più jazzistico) e "Dondestan"
(1991, con un brano ispirato a Boogie Stop Shuffle
di Mungus), come pure il Billie's Bounce (Charlie
Parker) e il Locomotive (Monk) inseriti nell'antologia
di rarità e inediti "Flotsam Jetsam"
(1994; in altri brani suonano Windo, Feza, Hopper,
MacRae, Jimi Hendrix, Nick Evans, Ray Babbington,
Lol Coxhill, Lindsay Cooper, Jeff Clyne, Annie Whitehead).
A sua volta Wyatt ha partecipato a incisioni o concerti
di jazzisti come Mike Mantler, Carla Bley, Lol Coxhill,
Evan Parker, Paul Haines, Keith Tippett, Centipede,
Symbiosis, Travor Watts, John Surman, John Stevens,
Larry Coryell, Jean-Luc Ponty, Gary Burton, Terje
Rypdal, Sugarcane Harris e altri ancora. Tutti dettagli
sono in www.disco-robertwyatt.com e sopratutto in
Mike King, Falsi movimenti: una storia di Robert
Wyatt (Arcana, 1994).
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3 pictures
of Robert Wyatt by Alessandro Achilli : |
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