Les années Before | Soft Machine | Matching Mole | Solo | With Friends | Samples | Compilations | V.A. | Bootlegs | Reprises|
Interviews & articles
     
 Robert Wyatt - Musica noglobal - Musica (supplemento de la Republica - N. 386 - 25 Settembre 2003


ROBERT WYATT | L'INTERVISTA | I RACCONTI DEL CANTERBURY SOUND












Te Recuerdo Amanda di Victor Jara. Incide album carichi d'intelligenza, idee e poesia: come Old Rottenhat, Dondestan, Shleep e, adesso, questo ultimo Cuckooland. Una volta ha detto: se il luogo è gradevole e c'è una tazza di te a disposizione, le interviste non mi pesano. Ha cambiato idea nel frattempo?

«No. A volte sono molto confuso riguardo alle cose che faccio, per cui mi risulta utile ascoltare le opinioni altrui. Mi chiarisce le idee. In realtà nessun intervistatore è mai stato più incalzante di mia moglie Alfie: "Perché fai questo? Perché fai quest'altro?". Ogni volta le rispondo che non lo so, ma lei ci riprova sempre. Comunque è rincuorante rendersi conto che ci sono così tante persone che ascoltano attentamente ciò che faccio».

Davvero tante. Soprattutto in Francia e in Italia. Cinque anni fa un gruppo di artisti (da Max Gazzé a Jovanotti, da Mauro Pagani ai C.S.I. a Cristina Donà) le hanno dedicato un album-tributo, The Different You.

«Mah, anch'io mi sono sempre sentito molto a mio agio in Italia e in Francia. Al contrario dei miei connazionali: via, si sa che noi inglesi ci consideriamo una specie di casta a parte rispetto agli altri europei. Invece è come se la mia musica trovasse qui, in Europa continentale, una sua "patria emotiva", che non è, appunto, quella ufficiale del suo creatore».

A proposito di differenze e caste a parte: venendo a differenze più prosaiche lei una volta si stupiva di fronte alla capacità degli italiani di bere molto vino mantenendo un comportamento, diceva, dignitoso.

«Questa è una cosa che non manca mai di sorprendermi, specie se la confronto con la barbarie in cui cadiamo noi inglesi appena abbiamo un po' di alcool in corpo. Ecco, forse per voi italiani Robert Wyatt è un vino invecchiato bene: fa piacere sorseggiarlo con calma. Mi piace questa vostra filosofia. Posso dirlo? Ritengo che gli gnocchi cotti al punto giusto siano un esempio di grande civiltà. E poi ho notato che le ragazze che si definiscono anarchiche riescono a essere molto più carine delle loro colleghe inglesi... Scherzi a parte: in Gran Bretagna politica e cultura tendono a essere due concetti ben distinti. Per questa ragione il mio modo di fare musica viene considerato strano, poco comprensibile. In Italia e in Francia esiste un legame forte fra politica e cultura. E non sono io a dover ricordare l'importanza del pensiero di Antonio Gramsci. Ecco, quando inizio a scrivere una canzone su un certo argomento penso: "Gli italiani mi capiranno sicuramente meglio degli inglesi". Forse voi non ve ne accorgete perché, essendo direttamente coinvolti, percepite soprattutto gli errori e le inadeguatezze della vostra sinistra. Ma in Italia siete riusciti a creare un'interpretazione umanista della politica rivoluzionaria. Un'interpretazione a cui noi guardiamo con grande interesse e che nel Sudamerica, che io conosco bene, viene considerata un punto di riferimento».

Ecco: la sinistra è infine al governo in Brasile.

«Posso solo dire: "Buongiorno Brasile e buona fortuna". Le forze che si muovono contro una rivoluzione del tutto "gentile" e umana come quella di Lula sono potentissime: le più potenti al mondo. Qualche centinaio di chilometri a nord del Brasile si trova il primo impero mondiale totalitario nella storia dell'umanità. Date le circostanze, il solo fatto che il governo Lula cerchi di mobilitarsi contro la miseria e la corruzione è nobile e degno di rispetto".»



Quest'esigenza di unire politica e cultura che l'ha indotta a inserire una grande quantità di note esplicative nel libretto di Cuckooland?

«È sempre mia moglie Alfie che scrive le note. Mi sono reso conto che, nei testi delle mie canzoni, certi riferimenti possono risultare molto criptici e così ho pensato di fornire dei chiarimenti. Non posso pretendere che tutti sappiano del colpo di stato orchestrato da Francia e Gran Bretagna che, nel 1953, depose il primo ministre iraniano Mohammad Mossadegh, oppure della vicenda di Mordechai Vanunu, lo scienziato nucleare imprigionato in Israele dopo aver denunciato la pericolosità di alcuni esperimenti che il suo paese conduceva segretamente. Un altro esempio: è chiaro che una canzone come Forest parla dell'olocausto dei popoli nomadi da parte dei nazisti. Ma è anche importante dire che a Lety, dove vennero sterminati decine di migliaia di rom, non c'è nessun monumento, nessuna targa che ricordi quella tragedia. Forse è un lavoro che avrei dovuto cominciare a fare prima. La musica resta la cosa più importante e non amo il ruolo del polemista. Chi vuole fermarsi all'ascolto ha il cd. Chi vuole andare oltre può consultare il libretto. Entrambi gli approcci sono corretti».



La collaborazione fra lei e Alfie è ormai più che trentennale. Vi capita mai di avere divergenze artistiche?

«La risposta è molto semplice: no. Forse perché agiamo in spazi diversi, poi mettiamo assieme ciò che ognuno di noi ha prodotto e, alla fine, il risultato è sempre maggiore della somma delle parti. Non mi piacciono i discorsi del tipo "dopo tanti anni di matrimonio siamo diventati una cosa sola". Alfie e io continuiamo a essere due entità ben distinte. Esistono degli stereotipi che vorrebbero descrivere il modo di essere del maschio e della femmina. Noi li incarniamo perfettamente: io quello della femmina e Alfie quello del maschio!».

Dice Bruce Cockburn, il rocker canadese impegnato e solitario, col quale lei ha molte affinità, che con il passare degli anni si fa sempre più fatica a non cadere nella banalità di certi stereotipi compositivi.

«Bruce Cockburn è un grande artista. Lo stimo. Ma a me accade l'esatto contrario. Comporre è una sorta di processo alchemico. Ancora oggi trovo strano che musica e parole possano viaggiare insieme. A volte accade senza fatica. Ma nella maggior parte dei casi non c'è una musica adatta per i miei pensieri e le mie sensazioni. Così come non ci sono le parole giuste per molta della musica che scorre nella mia mente. Sono sicuro che morirò senza aver detto il novanta per cento delle cose che vorrei esprimere in musica. Ecco perché non mi preoccupo degli stereotipi».

Quest'«impotenza creativa» è dolorosa o con l'esperienza diviene gestibile?

«No, non è troppo dolorosa. In genere mi diverto molto quando scrivo. Ad esempio, nel disco precedente, Shleep, c'è un pezzo che s'intitola Blues In Bob Minor. A quell'epoca stavo cercando di capire perché trovassi Bob Dylan di gran lunga più interessante degli altri suoi colleghi cantautori. Poi ho capito: dice un sacco di parole facendo strani rumori con la bocca. Forte di quest'intuizione e con l'aiuto di un po' di brandy (no, Alfie non era a casa...) il pezzo è venuto fuori in dieci minuti. Proprio come quando fai un buco per terra e, inaspettatamente, esce l'acqua».




La collaborazione con altri musicisti è importante?

«È fondamentale. Io ho bisogno dell'aiuto, diretto o indiretto, di persone come Alfie, come Karen Mantler o Phil Manzanera. Il mondo dovrebbe sapere quale grande musicista è Manzanera. Di lui molti conoscono solo la dimensione più ovvia, quella di chitarrista dei Roxy Music. Ma c'è un Manzanera molto più umano e "artigianale" che è poi quello con cui ho a che fare io».




Ecco: musica e artigianato. Nei suoi dischi lei utilizza spesso strumenti giocattolo o piccoli oggetti...


«Mettiamola così: io sono un musicista che quando prende in mano il più puro e il più nobile degli strumenti lo fa suonare come il più scadente dei sintetizzatori. Da sempre mi piace usare piccoli oggetti come quelli che ho registrato in chiave percussiva nel pezzo Trickle Down».

Il suo nuovo album sembra recuperare il suono liquide di Rock Bottom. Era questo che aveva in mente prima di iniziare le registrazioni ?


«Si, in Cuckooland ci sono affinità con Rock Bottom. Ma il punto di partenza sono state delle sensazioni che definirei inconsce. Fin da principio i pezzi sono venuti fuori pieni di accelerazioni e rallentamenti: un po' come accade nel jazz. Era come se alle melodie sfuggisse il terreno sotto i piedi. In effetti la mia musica è molto più affine al jazz che al rock: la cosa più rock che io abbia fatto è stata intitolare Rock Bottom un mio album! Ma ammetto che il mio modo di utilizzare le tecniche di registrazione deve quasi tutto al rock. I musicisti classici o jazz sono molto timidi in studio. Quando Yaron Stavi si è reso conto dell'effetto che facevano due parti di basso su due piste diverse è rimasto stupito. Piacevolmente stupito, direi».

In passato lei ha interpretato canzoni pop come I'm A Believer o At Last I'm Free. Ci sono canzoni pop contemporanee che le piacerebbe cantare?

«Ci sono molte nuove canzoni che mi piace ascoltare. Quelle della vostra Cristina Donà, per esempio. Mi piace molto: l'ho conosciuta dopo un concerto a Torino qualche anno fa, il suo Tregua era un disco bellissimo (l'havotato migliore del '98 nella classifica annuale della rivista Mojo e ha suonato con lei in Goccia, ndr). Ma cantare il pop è un altro discorso. Il pop è musica giovanile: è legata alle tempeste ormonali e alla scoperta dell'altro sesso. E poi oggi molto pop è legato alla cosiddetta club culture. E, si sa, i paraplegici non ballano».

Un pezzo come Old Europe, vecchia Europa, lascia trapelare una certa nostalgia per il passato.

«Ultimamente preferisco dedicarmi alle cose vecchie, quelle che la vita moderna si è lasciata alle spalle. Questo vale per la musica, i film (quelli francesi in bianco e nero) la politica, le persone. Non è un sentimento morboso. Non è nostalgia. Io non le considero cose morte. Credo anzi che si trovino in uno stato di grazia. Proprio l'esatto contrario di come vedono il mondo Tony Blair e il suo sedicente New Labour Party. Loro pensano solo a stare aggrappati al presente per ottenere voti. Quando il sindaco di Londra, Ken Livingstone, ha approvato misure antitraffico ritenute impopolari, lo hanno accusato di volersi giocare la rielezione. Non riescono a pensare che si possa agire per il bene comune senza secondi fini».



Antonio Vivaldi

       
     
Previous article