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 Little Red Robin Hood - Blow Up - N°9 - Gennaio/Febbraio 1999


LITTLE RED ROBIN HOOD

 




Un'intervista con Robert Wyatt, uno dei miti della mia gioventù?
Un grande onore, certo; ma quanto ardua potrà essere l'impresa, quanto peso avranno i condizionamenti dettati dagli inevitabili timori reverenziali?
Bene: a conti fatti, è stata un'esperienza non solo particolarmente interessante, ma tra le più gradevoli che mi siano mai capitate nella mia modesta carriera giornalistica. Merito di uno dei personaggi più umani, calorosi e mentalmente aperti dell'intero panorama musicale di oggi.



 
 

Robert Wyatt mi ha cambiato la vita. Non avevo ancora diciott'anni quando acquistai, senza sapere esattamente cosa mi aspettava, una ristampa dei primi due album dei Soft Machine. Dopo aver messo sul piatto il primo disco, e aver sentito il primo gemito di Wyatt su Hope For Happiness, capii che qualcosa era scattato. È un'esperienza sicuramente comune a tante persone che hanno un rapporto particolare con la musica, e ad altri sarà successo grazie ad un assolo di Miles Davis piuttosto che un riff dei Clash o un pattern di Derrick May; ma non ha importanza. Quel che conta è la sensazione di quei momenti, e non ce ne sono tanti, in cui ti arriva un marchio decisivo ad incidere la tua sensibilità, che senti essere indelebile e col quale dovrai fare i conti, e non solo come fruitore di musica, per il resto della tua esistenza.

Robert Wyatt mi ha cambiato la vita, e quando l'ho visto dal vero la prima volta, l'anno scorso al Salone della Musica di Torino, mentre si spostava sulla sua carrozzella in uno dei lunghi corridoi del Lingotto, non ho potuto fare a meno di dirglielo. Pur consapevole della sparata di adulazione retorica alla quale mi esponevo, l'ho voluto fare lo stesso, visto che per me non era altro che una verità vera. Beh, sapete cosa mi ha risposto? Con un sorriso di un candore disarmante mi ha detto: "Oh mio Dio, spero di avertela cambiata in meglio, vista la responsabilità!..."



Ora sono le 17 del 9 Ottobre 1998 e il signor Robert Wyatt è proprio qui, davanti a me. Sulla poltroncina accanto alla mia c'è Cristina Dona: tra i due da tempo si è instaurato un feeling e un rispetto reciproco che già la dicono lunga sulla disponibilità e l'apertura mentale di Robert. Infatti, la sua naturale dimensione di uomo semplice e sincero ci mette davvero pochissimo a farmi perdere gli ovvi timori iniziali. Eppure non posso fare a meno di pensare di avere di fronte uno degli autori più importanti e rappresentativi del secolo...


Robert, ti capita mai di pensare di essere considerato un'icona? Non una rockstar, naturalmente, ma in qualche modo un personaggio di culto...

Assolutamente no, davvero! Sarebbe un'idea disastrosa... Ho vissuto una vita ridicola, faccio appena quello che so fare, e guadagno quanto basta per nutrire me e mia moglie... Tutto qua... Non ho proprio idea... Insomma mi sembra un'idea pazzesca, credo che nessuno dovrebbe "usarmi" come modello...


Beh, certo non corriamo il rischio di trovare i posters di Robert Wyatt nei negozi di dischi, e forse questo è un bene, perché significa che chi si avvicina a te lo fa perché ti conosce davvero...

Beh sai, non sono uno che va molto in giro, anche nel posto dove vivo la maggior parte della gente non sa nemmeno cosa faccio. A dire il vero credo che nella cittadina in cui vivo i più pensino che sono un derelitto che sta in strada a fumarsi sigarette... Non ascolto molto la radio, non leggo giornali musicali, quindi non ho molto idea di quello che succede... A volte è perfino imbarazzante, è come se tu ricevessi notizie da un tuo amico, che parla di te, ma in realtà sta scritto su un giornale! Capisci?...


Però è un dato di fatto che molti autori delle ultime generazioni ti citano più o meno apertamente come influenza, nel cosiddetto post rock ad esempio...


Beh, devo dirti che personalmente mi rendo conto che sono ancora un fan della stessa musica che ascoltavo quand'ero giovane; i miei "eroi" musicali adesso hanno sessanta, settanta, ottant'anni addirittura, e sono tutti musicisti jazz. Quindi in realtà mi sento ancora come un teenager che impara cose da queste persone, non riesco proprio a vedermi in un ruolo rovesciato. Perfino ora quando mi guardo allo specchio e vedo il mio barbone è uno choc, mi dico "Oddio, un vecchio! Sembra molto saggio per di più!" Ah, ah!
Ma dentro mi sento un vero adolescente. Quindi l'idea che io possa rivestire un ruolo diverso... Non dico che sia giusta o sbagliata, semplicemente io non riesco a calarmici.


Ma quando un gruppo come gli Ultramarine ti chiede di collaborare al loro disco, cosa pensi?

Ho pensato "Mio Dio, sono persino più giovani di mio figlio!". È la verità, è stata la prima volta che ho lavorato con persone così giovani, ed è stata una sensazione curiosa.


E com'è andata?

Oh, molto bene, molto bene... Ero molto impressionato dal fatto che volessero lavorare con un altro musicista senza badare all'età, perché a volte sei un po' prigioniero della tua età e della tua generazione. La musica per fortuna non è così, talvolta almeno trascende i gap generazionali.
Però insomma, non è che su questo argomento ci abbia pensato davvero, non voglio che pensi che adotti una vista sociologica sul rock o cose di questo genere... Non mi aspetto di far parte di alcunché, anzi penso che ogni generazione riesca in modo naturale ad inventare i propri codici, i propri linguaggi, il taglio di capelli... Quindi in conclusione non cerco di trovare la chiave dì lettura di ogni generazione, e non mi aspetto che loro siano interessati alla mia; a volte succede, bene, ma non credo si debba forzare nulla. È come quando da ragazzo stai ascoltando un disco ed entra in camera tuo padre e dice "Perbacco, che ritmo, questo sì che è un bel disco!..." Allo stesso modo sarebbe disgustoso che frequentassi come niente fosse persone molto giovani!



Beh, anch'io ho ben presente il problema di dover parlare di musica e dischi il cui pubblico ha dieci o quindici anni meno di me... A volte si ha l'illusoria pretesa di capire come si sentono queste persone, ma se non sei dentro lo stesso ambiente è molto difficile...

Certo, questo mi fa pensare a come ci siano tempi specifici per ogni cosa. Ad esempio nei tardi anni '70 qualcuno mi chiese cosa pensavo di Paul Weller, e io dissi, mi piace, lo rispetto moltissimo, ma, come dire, a distanza: lui ha la sua propria costituzione, un diverso background, eccetera. Ora, vent'anni più tardi, lui è considerato rock "da genitori", io addirittura "da nonni", e più o meno stiamo assieme nel cestino dei rifiuti... Certo non mi sento obbligato a seguire quello che c'è di nuovo per il pubblico giovane; ma mi sta benissimo che ogni settimana trovino un fantastico nuovo gruppo!..


Beh, la stampa inglese ha un po' il vizio di trovare un gruppo "fantastico" ogni settimana...

Ma magari esiste davvero! Voglio dire, sono sicuro che ci sono davvero molti nuovi gruppi fantastici, spesso quando li ascolto sembrano davvero fantastici, ma non per quello sento di dover entusiasmarmi obbligatoriamente. Certo che se c'è un'occasione per partecipare non mi tiro indietro, anzi ne sono felice.


Quando dici di sentirti giovane quanto trent'anni fa, è solo un'attitudine mentale o cos'altro?

È qualcosa di più, sono proprio le immagini nella mia testa, fondamentalmente immagini romantiche, che provengono da un tempo in cui i "teenagers" non esistevano. I teenagers furono inventati penso nel 1953, prima non esistevano, c'erano gli adulti e c'erano i bambini, e le persone nel mezzo erano seriamente imbarazzate. Quella è l'era da cui provengo, non c'era una tribù specifica per i teenagers...


Poi scoprirono che c'era mercato per i teenagers e li inventarono...

Giusto, li fecero diventare un investimento! Ma io provengo da un periodo anteriore, quando non c'erano, per cui in un certo senso sono scollegato da chi è più giovane di me di almeno dieci anni, sono cresciuto in un mondo culturalmente molto diverso. Ad esempio ics non ho la stessa "lealtà" che hanno certi giovani per le epopee della loro generazione, l'epopea rock e Bruce Sprìngsteen, o Bob Marley in Giamaica, Johnny Rotten in Inghilterra e così via. Non ho particolari legami con la generazione rock, in parte perché il legame che la mia musica ha col rock è piuttosto lasco, e poi perché io personalmente mi sono trovato vicino a cose che col rock non avevano niente a che vedere...


Questo era vero anche nei primi tempi, all'epoca dei Soft Machine?

Non so, non facevamo molta teoria, non ci parlavamo neanche tanto in realtà, suonavamo e basta, lo ero un po' irritato dagli altri, perché erano più vecchi dì me e avevano fatto l'università, e in realtà io per loro ero solo il batterista, quello che faceva la scena, come secondo copione...


Quindi ti limitavi fare il batterista?

Assolutamente, e ricorda che il peggior batterista è quello che crede di saper anche comporre melodie per il gruppo...


Perciò hai smesso di suonare la batteria...

Ho smesso perché mi hanno fatto smettere loro!


Però eri anche il cantante!

Sì, ma a loro non piaceva...


No? Che cattivo gusto!

No, anzi gli piaceva sempre di meno col passare del tempo...


Per quello hai lasciato il gruppo?

Ho lasciato il gruppo perché sono stato cacciato dal gruppo. Mi sbatterono la pana in faccia.


(Robert sembra un po' turbato da questo ricordo; c'è un attimo di imbarazzo) Ricordi chi fu a farlo, fu Mike Ratledge?

Fu uno di loro, uno... Penso... Sì, fu lui.


Però hai mantenuto contatto con altri, come Hugh Hopper.

Beh, Hugh lo conosco da quando ho dieci o undici anni, con lui il rapporto si è sviluppato perché successe che in certe canzoni che lui componeva aveva bisogno di un cantante, come in
Maryan, lui non canta malgrado sappia scrivere canzoni bellissime. All'inizio mi sembrava un vero spreco, la prima che scrisse era Memories, allora decisi di cantarla, ci misi qualche parola e tutto partì da lì. Tuttavia siamo amici non penso che abbiamo molto in comune, penso che non approvi molto né le mie scelte politiche né il mio abituale consumo di alcool...


Nel lungo tempo in cui sei stato nel rock business, hai notato un'evoluzione del contesto dai primi tempi ad oggi? Per esempio, ci può essere differenza tra un tour con i Soft Machine negli anni '60 e un tour di una rock band odierna?

Beh, è difficile risponderti visto che è da tempo che non vado più in tour, e non faccio più concerti. Ormai sono diventato completamente casalingo, non ho quasi più vita pubblica. Se vuoi per me quindi è cambiato completamente da quand'ero batterista, un mestiere che è ancora più atletico e teatrale di altri, sul palco.


In realtà vorrei sapere se pensi che ci sia una diversa attitudine, una diversa pressione su una band degli anni '90 rispetto a una degli anni '60.

Non saprei, davvero non credo di essere la persona più adatta a cui fare questa domanda... Chiedi a Cristina! Anche se temo non possa saperne molto sulla prima parte...
(risate, naturalmente...)




Ok, cambiamo argomento, allora. Che mi dici del tuo impegno politico, in quale modo si collega con il contenuto musicale delle tue canzoni?

All'origine di tutto ci fu il fatto che la musica che mi ispirava era black music. Contemporaneamente notavo che al di fuori della musica i neri avevano uno status molto basso, nel mondo. Se segui da vicino il jazz e la storia della musica noterai qualcosa di molto commovente in ciò, perché anche se i musicisti neri americani non sono interessati alla politica, quello che fanno rappresenta una sorta di trionfo dello spirito sulla schiavitù. Non voglio apparire troppo sentimentale, ma è proprio così, allo stesso modo in cui lo è stato negli ultimi anni con il rap e la cultura hip hop. Attualmente non puoi immaginare la cultura americana senza il contributo della comunità nera, e questo secondo me è un vero e proprio trionfo, allo stesso modo in cui il contributo della comunità ebrea lo è nei confronti dell'olocausto... E quello per me il significato originale della politica, questa affermazione di sopravvivenza.
Ora io non posso dire di scrivere canzoni politiche, quando compongo lo faccio senza teorie preconcette di alcun tipo, sono istintivo, e rimango abbastanza sorpreso da quello che ne viene fuori. Sarebbe ridicolo che scrivessi pensando "Ora applico questa teoria, o quest'altra..." Non succede, in realtà lavoro come un animale...


E quello che ne viene fuori, la tua musica, la chiameresti "jazz"? In realtà è così difficile da classificare...

Beh, questo per me è una fortuna, perché si basa su molte influenze diverse, e siccome io non ho il problema di dover scrivere recensioni... Comunque non penso che si possa chiamare jazz, anche se è certo che non potrebbe esistere senza il jazz, così come il rock non potrebbe esistere senza il rhythm'n'blues. Questo non significa che il rock moderno sia rhythm'n'blues, non lo è, ma non potrebbe essere ciò che è se il rhythm'n'blues non fosse esistito prima.


Riguardo alla musica nera... Pensi che anche oggi possa avere una specie di ruolo predominante nella cultura musicale?

Potrebbe averlo, in effetti, anche se, e qui devo di nuovo mettere l'accento sulla mia età, i miei eroi musicali, quelli del jazz, suonavano per lo più pezzi strumentali, e spesso composizioni di altri autori americani, come George Gershwin ad esempio. C'era un'alchimia particolare tra questi compositori di origine ebrea e gli esecutori neri e la loro sensibilità, la loro fisicità, ed è questo che mi ha più colpito personalmente, nella mia formazione.

Ora, con il rap, e tutto quello che ne è conseguito, sicuramente sono state raggiunte più persone, si è mosso un apparato industriale enorme, c'è già stato un certo ricambio... Insomma non è facile dire cosa ciò significhi in termini culturali. Ad esempio se un famoso atleta nero fa uno spot pubblicitario per una marca di calzature sportive, qual è il significato politico, chi è il vincitore? La marca, la gente nera, quelli che venderanno le scarpe?... Con il rap è la stessa cosa... Penso piuttosto che la vera rivoluzione del rap sia stata sul piano della comunicazione, quando per la prima volta ha recuperato le forme verbali veloci e divertenti dei dialetti neri della strada, e li ha portati in musica. Ai tempi della Tamla Motown ad esempio le canzoni erano musicalmente perfette, ma dal punto di vista dei testi si trattava spesso di stronzate... Vacue, senza senso. Il rap, anche quello offensivo, ha dei testi veramente potenti, la sua forza è quella di portare in musica il linguaggio vero della comunità nera.


Sai però che a un certo punto i dischi rap venivano comprati essenzialmente dalla comunità borghese bianca...

Beh, questo è successo molto spesso con la black music, i bianchi se ne sono appropriati e hanno celebrato il genere. Con il blues negli anni '60, ad esempio, c'erano persone come Miles Davis che non riuscivano a capirlo: "Perché ascolti la musica dei miei nonni, non vale niente!", diceva...


In questi ultimi anni c'è stata un'altra cosiddetta rivoluzione musicale, quella della musica elettronica proveniente dai rave della house di Chicago o dalla techno di Detroit...

Mo anche dal dub giamaicano...


O dalla disco music degli anni '70!...

Oh sì, certo!...


Alcuni pensano che la storia dei rave fosse effettivamente rivoluzionaria, visto che per una minoranza era un modo nuovo di esprimersi con una forma musicale nuova, senza testi, con suoni totalmente sintetici...

Beh, prima di tutto va detto che tutta la musica è fatta di suoni sintetici. Che ne so, il piano è totalmente artificiale, non cresce mica sugli alberi... Quindi tutta la polemica sui veri strumenti contro la musica elettronica non ha senso per me, assolutamente Per il resto non mi sento molto qualificato per parlarne, ma una cosa interessante della scena dance è il fatto di mettere il pubblico al centro della scena, senza star, senza performers, con la musica e i dj a comporre lo sfondo... Molto intrigante.


Sai però che certi dj, specialmente in Inghilterra, sono diventati stars a tutti gli effetti.

È vero. Poi succedono altre cose strambe, ho visto recentemente dei dj, in un'intervista televisiva, dichiarare che volevano andare in tour a suonare con veri musicisti: per loro è quella la nuova idea, è incredibile.




C'è qualcuno di questi personaggi che conosci e apprezzi, in particolare?

Sì, c'è quel giovane di Bristol, come si chiama... Alfie!
(chiama la moglie seduta poco distante, ndi.) Come si chiama quel tipo della zona di Bristol che abbiamo visto in TV?... Ah sì, Tricky! È un tipo affascinante, sai? Assolutamente...


D'altronde ho sempre pensato che nel sound di Bristol ci fosse qualcosa che ricordava il Canterbury sound...

Ah mo guarda, io sono nato a Bristol, non a Canterbury! Non sono di Canterbury, sono solo andato a scuola lì, contro i miei desideri... Comunque, quello che dici può esser vero, ma io non sono uno che va a cercarsi le ultime tendenze musicali. Per esempio l'anno scorso, quand'ero qui, ho fatto parecchia promozione, e così ho conosciuto molta gente, soprattutto band italiane, che mi offrivano il loro ed da ascoltare, è anche quando ho sentito la prima volta Cristina cantare.


È stata quella la prima volta che hai preso contatto con i CSI per questo disco tributo?

No, è successo più tardi, dopo che ho ascoltato quella raccolta stupefacente, Matrilineare, con le donne anziane che cantano... Succede che in ambito rock ascolto più volentieri voci femminili che maschili, da Betty Carlton a gente dal taglio più pop come Sinead O'Connor e Bjork. Comunque tutto succede grazie alle persone che mi danno spunto per sentire cose nuove, cosa che faccio sempre volentieri. Quando vado io in un negozio di dischi istintivamente finisco col prendere edizioni su CD di vecchi dischi a 78 giri del 1915 o del 1920... Gracchianti, con voci tipo:
(e si mette a cantare un'aria dalla melodia d'altri tempi... ndi.), li adoro, assieme al vecchio jazz, mi fanno veramente impazzire, c'è la magia dovuta al fatto che sono totalmente andati, fuori dal tempo. Sarà che sto diventando vecchio..


E la tua casa discografica non ti fa mai pressione?

Non faccio caso a qualsiasi tipo di pressione, e poi ora sono presi per le ristampe del mio vecchio catalogo, cosa che sta impegnando moltissimo Alfie per la modernizzazione delle confezioni per i CD. È più o meno quello il lavoro che farò nel prossimo anno, ho inciso solo due o tre pezzi ultimamente, di cui uno è Del mondo, la canzone dei CSI, più alcune altre collaborazioni.


Cosa ne pensi delle tue vecchie cose, ti ci riconosci ancora, le consiglieresti a qualcuno che non ti conosce?

Quando ripenso agli anni '60, vedo un'altra persona. Qualcun altro, non io, sembra uno strano ragazzo che ho conosciuto tempo fa, non sono io, e non riesco a ricordarlo. Perfino quando riascolto un disco che ho fatto a quei tempi, penso: dove abitavo, cosa mangiavo a colazione, come mi vestivo? Proprio non ricordo me stesso, non ci riesco. Tutto scomparso, finito in un sogno.


Quand'è nato il Robert Wyatt che conosciamo oggi, allora?

Nel 73, 74, non prima. Il mio primo vero disco è Rock Bottom.


E The End Of An Ear?

Mah, forse... No, in realtà non mi ci riconosco veramente, piuttosto il primo album dei
Matching Mole, anche se quello è un disco di gruppo, non mio. Chiedo scusa agli altri membri del gruppo, ma riesco comunque a "ingoiare" quel disco nel mio mondo dei sogni... Dev'essere quella la prima volta in cui mi riconosco interamente. Con End Of An Ear non riesco a ricordarmi così "atletico", così veloce, non solo nel drumming, ma in tutta la composizione del disco; anche se per me fu un episodio molto importante, fu il mio primo tentativo di rottura coraggiosa col passato.


Da lì in poi hai avuto maggiore controllo su quello che facevi?

Sì, anche se in realtà le cose non vengono mai come te le saresti aspettate, su questo sto ancora lavorando oggi. E poi è un piacere vedere gli altri che fanno cose mie, per me è un po' rivivere.


L'ultima domanda, Robert: qual è, giustamente, la domanda che vorresti che ti facessero e che non ti viene mai chiesta?

"Gradiresti un'altra tazza di tè"?




 
       
     
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