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 Robert Wyatt - InSound - n°22 - novembre 2007



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A CURA DI CLAUDIO CHIANURA

Una delle voci più emozionanti del rock inglese, tra i protagonisti della cosiddetta Scuola di Canterbury negli anni '60, prima con i Wilde Flowers, poi con i Soft Machine e quindi con i Matching Mole, Robert Wyatt avvia una carriera solista e nel 1974, dopo un incidente che lo costringe sulla sedia a rotelle, realizza Rock Bottom, uno dei dischi più originali e affascinanti di tutti i tempi. Quindi una serie di singoli e poi di album mai banali, fino al penultimo, imperdibile, Cockooland e ora l'ultimo, Comicopera. Ecco la nostra intervista.








IS - Quando ti rivedremo in Italia? L'ultima volta è stata almeno dieci anni fa a Torino, e poi ci siamo sentiti solo via telefono, per il libro di interviste Postcards from Italy, ti ricordi?

Wyatt - Certo che mi ricordo! Ma non viaggio più in aereo, adesso... Quando siamo venuti a Torino, l'ultima volta, abbiamo incontrato diversi problemi con il treno e la carrozzella nell'ultima parte del viaggio. Quindi la prossima volta dobbiamo trovare un treno migliore, o un altro sistema...

IS - Magari potresti venire per quattro o cinque giorni solamente, durante la bella stagione.

Wyatt - Sì, mi piacerebbe, sai che l'Italia è la mia nazione preferita!

IS - È sempre un piacere ascoltare un tuo nuovo disco, questo in particolare mi riporta indietro ad alcune raccolte di singoli del passato che abbiamo tanto amato, è un lavoro quindi diverso rispetto ai precedenti, come Shleep o Cuckooland, probabilmente più leggero, in un certo senso.

Wyatt - Sì, nelle canzoni c'è qualcosa dei tipici pezzi degli anni '60, sono brani piuttosto diversi, per la maggior parte canzoni intese nel senso tradizionale, proprio come fossero canzoni folk. È stata una sorta di piccola vacanza, qualcosa di diverso, anche se ci sono Gilad e Orphy che suonano un duetto in "On The Town Square" o Orphy Robinson da solo in "Pastafari" mentre suo figlio giocava intorno al vibrafono... Piccoli dettagli. È un disco più semplice nel senso che è molto più chiara la distinzione tra le tracce.

IS - Cuckooland era un lavoro molto bello, intenso, pieno di sapori forti... Comicopera è come una piccola vacanza anche per l'ascoltatore.

Wyatt - Sì, è così.

IS - Come hai scelto i pezzi di Comicopera? Ho apprezzato molto la scelta di "Stay Tuned", che è uno tra quelli che più amo di Anja Garbarek.

Wyatt - Sì, la ragione per cui l'ho scelta, insieme a un paio di pezzi italiani, è perché ci sono alcune cose nel continente che volevo fossero ascoltate dalla gente di area inglese. Per lo stesso motivo ho voluto che fosse ascoltata Cristina Dona: è talmente parte del mio mondo, nella mia testa, che ho voluto condividerlo. Ecco tutto!

IS - La tua voce aggiunge sempre qualcosa alle canzoni, alle persone piace ascoltare canzoni già note reinterpretate da te. Vorrei chiederti qualcosa a proposito della forma che hai proposto. Alcuni musicisti hanno fatto lo stesso, ovvero cercare di lavorare anche sul formato cd, qualcosa di diverso dal solito. Il tuo è diviso in tre parti, come è successo?

Wyatt - Non è stato pianificato in partenza. Quando tutto il materiale era pronto, mi è parso che prendesse tre corsi diversi, diverse parti, preoccupazioni. La prima tratta di amori e perdite personali, la seconda è un altro sguardo attorno all'essere inglese, la terza è come una considerazione: ok, qualcosa va bene, qualcosa è bello, qualcos'altro non va così bene, e alla fine mi sono ricordato che siamo dentro questa maledetta e sanguinaria guerra, senza nessuna buona ragione, e ho deciso improvvisamente che ne avevo abbastanza; quindi la terza parte parla delle diverse avventure da me vissute nel passato e di tutte le diverse idee della gente, i diversi sogni che vagano nella testa, il sogno della rivoluzione, di scrivere musica... una sorta di mistica famiglia cattolica del mondo... Insomma, diverse dimensioni mentali che si possono attraversare, quando la realtà diventa un tantino intollerabile, capisci. Oppure: è tutto realtà, ma il confinamento fisico da parte del mondo politico nel quale vivi potrebbe essere troppo condizionante per l'immaginazione.

IS - Sei sempre stato motto consapevole rispetto a quanto succede nei mondo, e allo stesso tempo sempre ottimista, lo sei ancora?

Wyatt - Ecco come stanno le cose: tutte le volte che puoi tagliare l'erba fino a un pollice dal terreno, ma può ancora crescere... Ecco, ogni generazione può fare un nuovo tentativo per fare del mondo un posto più decente. Potrei essere molto cinico, e dire che so che tutti hanno rinunciato. Ma non hanno rinunciato. Se guardi a tutta la realtà latino-americana, sta ribollendo, è in totale cambiamento, dal Venezuela al Cile, all'Argentina, al Perù. E La Bolivia, il primo vero leader politico indigeno in Bolivia, la donna che ora è primo ministro in Cile ed era stata torturata da Pinochet. Queste cose non si possono uccidere, queste persone continuano a provarci, nell'interesse di queste persone è immorale dire che non vale la pena di lottare.

IS - Patti Smith ha detto: non voglio arrivare alle persone della mia generazione, che hanno eletto Bush e fatto tante altre cose orribili, ma ai giovani, perché loro possono cambiare il mondo. Qual è la tua opinione, hai fiducia nei giovani, che possano fare qualcosa?

Wyatt - Non è esattamente un fatto di fiducia nei giovani... Non è necessariamente una contrapposizione giovani/anziani, è solo che il bisogno di un certo tipo di autonomia, di una qualche sorta di giustizia nel mondo, è una forza sempre presente. Credo Chomsky abbia detto che c'è solo una cosa più forte delle forze armate degli Stati Uniti con tutti gli alleati e la loro élite affaristica, ed è l'intera popolazione del mondo. Penso che questa volontà di vita che ogni generazione possiede si manifesti, venga fuori in continuazione. Non ho mai particolarmente aderito alla mitologia della popolazione giovanile, perché mi sembra che sia arrivata insieme al marketing della rock music, e per i capitalisti era solo un nuovo mercato, un nuovo target. Non ha specifiche caratteristiche morali ereditate, può andare ovunque, è solo una forza che è lì, e la gente può prenderla e usarla. Per come stanno andando le cose oggi, non separerei le generazioni, perché molte delle migliori idee che ancora funzionano sono frutto delle generazioni precedenti. Per esempio, prima dicevo dell'America Latina. Non so quanto sia forte in Italia, ma qui c'è un forte movimento per il mercato equo e solidale, e non è solo una sorta di gruppo di pressione di sinistra. Ora anche i super-mercati pubblicizzano la presenza di caffè equo e solidale proveniente da qualche parte del mondo, intendendo con ciò che le persone che lavorano nelle piantagioni sono pagate e trattate equamente, e così via. Anche se è falso, se quando lo fanno non sono onesti, alla fine sanno che ci devono provare, non è solo un gruppo di pressione di sinistra, si tratta di ottenere il consenso generale: la gente ormai sa dello sfruttamento, della schiavitù umana praticata nell'emisfero meridionale per servire il ricco Nord, molto più che in passato. Le nuove generazioni lo sanno. Molti giovani fanno volontariato in Africa, hanno acquisito coscienza, e anche le stesse persone nei diversi paesi vittime del colonialismo, generazione dopo generazione sono molto acute e intelligenti. Per esempio, per tornare all'America Latina, la situazione imbarazzante nella quale si è venuto a trovare il capo di Benetton... Ha pensato al problema, e voleva proteggere il Sud America da questo capitalismo brutale, così ha comprato enormi appezzamenti di terra, ma il problema è che nessuno vi poteva abitare. E quando gli indios Mapuche, che in origine erano i proprietari delle terre, hanno cominciato a spostarsi e a costruire abitazioni, lui li ha fermati. Guardiamo agli argomenti di entrambe le parti. Lui diceva: occorre preservare quanto più possibile, visto che finora non abbiamo fatto che distruggere; e i Mapuche invece: è la nostra terra, vogliamo viverci.




Non esprimo un giudizio sulla disputa in corso, dico solo che è fantastico che ci sia una disputa in corso. Gli indiani Mapuche che non hanno avuto niente per centinaia di anni, e sono stati trattati come immondizia, stanno negoziando con un grosso capitalista occidentale di successo, e stanno anche cercando di coinvolgere altre persone nel rispetto della propria terra. Naturalmente gli indigeni hanno ragione, ma è anche vero che il capitalismo ci sta provando. Questo è un po' quello che sta succedendo nel mondo, e penso che sia degno di molto rispetto.

IS - Pensi che la scena musicale sia migliore rispetto alla scena politica e sociale? È una cosa che abbiamo creduto in motti.

Wyatt - In realtà, davvero, non l'ho mai pensato. Ho vissuto una forma di sviluppo molto ritardata. All'epoca in cui le persone pensavano all'ottimismo politico della generazione giovanile degli anni '60, io non ne facevo parte, pensavo a suonare la batteria, a ubriacarmi, alle ragazze. Ho cominciato a pensare a tutte queste cose troppo tardi. Ho semplicemente sempre avuto un istinto contro il razzismo, un istinto nel sentire l'uguaglianza delle persone, indipendentemente dalle diverse culture e apparenze, e tutto ciò mi ha spinto verso la sinistra, perché mi sembrava che più la gente andasse a destra più fosse razzista. Ma non ho mai creduto al mito dei giovani, che è stato confuso da un mix di nozioni romantiche del '900, alla qualità della gioventù, per definizione, che invece non è un'entità fissa, ma cambia ogni anno... Poi quello che succede è che pensano: ero ribelle quando ero giovane, ora ho una casa, una moglie e quindi sarò un conservatore. Questo è lo schema comune, perfettamente prevedibile, quindi non l'ho mai preso seriamente come idea politica, non ho mai creduto che il rock'n'roll potesse liberare il mondo. Neanche una volta.

IS - Cosa pensi di questi grossi eventi nei quali la gente raccoglie fondi per l'Africa o simili?

Wyatt - Spero che si divertano, credo che siano fantastici, importanti e utili soprattutto per le persone che li organizzano.

IS - È un grande business...

Wyatt - Non voglio esprimere giudizi, o forse non dovrei, va bene, ma è ancora la cultura dell'assistenzialismo e della carità, è sempre carità: bisogna fare qualcosa per i poveri, ma queste cose non cambiano niente. Se le cose andassero come dovrebbero, non ci sarebbe più nessun bisogno della carità.

IS - Ci sono molti tuoi amici musicisti inglesi in questo ultimo album, penso a Phil Manza nera, e molti altri. In che rapporti sei con loro, come mai hai pensato di coinvolgerli per il nuovo disco?

Wyatt - Mi è successa una cosa molto bella, negli ultimi due o tre dischi: prima di tutto io e Phil abbiamo riscoperto un'amicizia, ora è sposato e ha un bambino, Jamie, e lavorare nel suo studio, incontrare il giovane tecnico del suono che ci lavora, è stato molto umano, amichevole. Poi è apparso anche Brian Eno, che abita a poche pedalate di bicicletta lì vicino, e sono venute altre persone ancora, il bassista Yaron Stavi, anche lui vive a poche fermate di autobus, portava il suo basso con il bus. Poi sono venuti altri amici, Annie Whitehead, molto importante per me, poi un amico di Yaron, Gilad Atzmon, che suona nel suo gruppo. Con queste persone abbiamo poi cercato una maniera di lavorare, abbiamo creato una ventina di testi, anche con chi non pensava davvero di poterlo fare. Io cominciavo usando una parola, poi lei rispondeva a questa parola suggerendone altre... Io, Alfie, Phil e Jamie, Annie, Gilad e Yaron, abbiamo costituito un gruppo, anche se siamo un gruppo che si trova solo poche volte in alcuni anni, ma quando lo fa la sensazione è quella di una gran bella riunione di famiglia.

IS - E come decidi di fare cover di altre canzoni più o meno note, anziché comporne di nuove?

Wyatt - Volevo solo fare il disco più godibile possibile entro le mie possibilità. Così, naturalmente scrivo musiche e testi, ma mi fa anche piacere celebrare canzoni che già esistono, presentarle in una maniera diversa... Credo che sia proprio della tradizione folk: se c'è una canzone folk, tutti nella comunità la possono cantare, appartiene alla comunità. Penso di fare delle cover di altri autori proprio in questo senso, che si tratti di Anja Garbarek o di Carlos Puebla.

IS - Alcuni hanno anche fatto tue cover, ma forse sono impauriti dalla tua voce così bella, no?

Wyatt - Spero di no, so che Anja ha provato ad arrangiarle e ha detto che sono più difficili di quello che la gente a volte potrebbe credere, in realtà suonano piuttosto semplici, ma a volte ci sono delle piccole cose che succedono, dal punto di vista ritmico o armonico, che confondono le persone. Non posso far altro che scusarmi con lei, le ho scritte così, non pensavo che qualcuno sarebbe andato a controllarle!

IS - Non sappiamo mai cosa farai nel prossimo album, se inviterai musicisti, suonerai nuovi strumenti, o userai un sampler... Come decidi di scegliere strumenti diversi?

Wyatt - In realtà dipende dalla canzone. Ciascuna canzone mi sembra abbia una sua atmosfera, e mi chiede di essere presentata in una certa maniera. Ci sono alcune cose con le quali sono cresciuto, e che amo, come questo pezzo di trombone e sax tenore insieme, che ho usato piuttosto spesso in Comicopera, e arriva dall'ascolto di Charles Mingus negli anni '50. La strumentazione è simile a quella delle band jazz, ma con piccole canzoni. Ecco da dove arrivo, musicalmente. Lo stesso vale per la sezione ritmica, c'è un po' di ritmica rock, ma per la maggior parte è una specie di fumoso, ambiguo ritmo di un certo tipo di jazz, della mia generazione. Poi l'altra cosa sono le persone. Per esempio una delle ragioni per cui ho scelto Orphy Robinson a vibrafono e steel pan in questo disco, non è perché pensavo di volerci un vibrafono o uno steel pan, ma perché ci volevo Orphy Robinson. È cresciuto con i Jazz Warriors, Courtney Pine... e lui ha una maniera di suonare completamente diversa, eccentrica. Ho pensato: che curioso giovanotto, vorrei avvicinarmi a lui, alla sua maniera di lavorare, ecco perché mi sono rivolto a lui. Quindi normalmente è il carattere della persona che mi fa propendere per lo strumento. Per esempio, nel passato, non ero molto da chitarra rock, non appartengo al mainstream del rock basato sulla chitarra, ma ho sempre pensato che due o tre bravi chitarristi avessero una tale forza di carattere, come Paul Weller, Phil Manzanera, e naturalmente David Gilmour, e che sarebbe stato bellissimo se avessero fatto capolino in un paio di tracce. Ma è perché sono loro come persone... Quello che mi piace di Paul non è tanto il fatto che suoni la chitarra, quello che mi piace di Paul, è Paul.



 

IS - Quindi a volte sei il primo a essere sorpreso dalle tue canzoni.

Wyatt - Sì, ho lavorato per quarantanni con degli amici, con altri normalmente non avrei lavorato, alcuni come Gary Windo sono morti, andati in un altro spazio... a volte mi manca quel senso di compagnia. In verità, quando sono venuto in Italia stavo vivendo un periodo di grande depressione, quindi ero triste, sono andato a parlare con delle persone, forse a Milano, non ricordo, e qualcuno nel pubblico mi chiese come mai non suonassi con altri musicisti, visto che avevo appena concluso un disco completamente da solo, forse era Dondestan. Ho pensato che questa persona avesse ragione: perché non chiedere ad altri musicisti? È stata la domanda di una persona tra il pubblico italiano a farmi cominciare a pensare: ma perché faccio sempre dischi da solo? Stavo cominciando a sparire nel mio mondo dei sogni, poi le persone come Annie e Phil mi hanno aiutato a uscirne. Sono comunque felice di aver fatto dischi da solo, sono stati importanti, mi hanno aiutato a capire che potevo fare ciò che ho fatto senza aiuto, una sorta di politica paraplegica, o qualcosa del genere!

IS - E cosa pensi del fatto che forse oggi la musica è più ricca, nel senso che le persone ascoltano musica proveniente da ogni parte del mondo, le cose si mescolano, anche tu l'hai fatto in passato, in un certo senso: non solo rock, non solo musica inglese, ma tante cose diverse che interagiscono. Oggi ascolti ancora molta musica?

Wyatt - Sì, naturalmente. Però oggi ascolto cantanti più spesso di quanto non lo facessi prima. La base dei miei ascolti è sempre stata il mainstream jazz, che di per sé è già world music, una mescolanza di gente africana, ebrea, italiana, inglese, olandese... Il jazz mi ha condotto verso la world music, e naturalmente anche il rock'n'roll, ma non ascolto dei musicisti in particolare... Ascolto più voci femminili che maschili, penso che il motivo sia la complementarietà tra la voce maschile e quella femminile, per esempio Cristi n a Dona, Karen Mantler o Monica Vasconcelos, molto brava, che abita a Londra, e canta nella seconda traccia di Comicopera. Ha fatto un disco al quale abbiamo lavorato io e Alfie, con un titolo che parla da solo, HiHi, davvero bello.

IS - Hai anche lavorato con Bjork.

Wyatt - Sì, è stato incredibile, penso che lei sia magnifica, un genio, quando ho sentito la sua voce al telefono non ci credevo, così inconfondibile, anche quando parla, poi è venuta per il disco e ci siamo divertiti, ma ti devo confessare che ero nervoso. Ero sorpreso che avesse sentito di me e pensato di fare qualcosa insieme.



     
       
     
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