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Robert Wyatt - Nuovo Sound -
27 gennaio 1975
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Twickenham, un tranquillo sobborgo situato nei pressi di Londra. E' là che vive Robert Wyatt, nella sua casa attrezzata in modo tale da attenuare gli inconvenienti procurati dalla paralisi alle membra inferiori che lo costringe su una sedia a rotelle dopo l'incidente dell'anno scorso.
Wyatt non ha ceduto alla disperazione. Al contrario ha dimostrato di possedere una volontà di fare veramente eccezionale, e questo soprattutto dopo la comparsa sul mercato di "Rock Bottom", un album veramente pregevole, e di un 45 giri "I'm a believer", una nuova versione di un vecchio successo dei Monkees che ha meravigliato tutti.
Robert Wyatt, oltre al suo talento, possiede una particolare lucidità nella visione della rock-music attuale ed ha giustamente sorpreso con i suoi dischi. Quando siamo arrivati a casa sua, Robert stava cercando di far funzionare un vecchio accordeon (un tipo di fisarmonica) che
sua moglie, Alfie, gli aveva regalato. Alfie (il suo vero nome è Alfreda), che ha disegnato la copertina del suo ultimo album, veglia su Robert e la sua presenza appare talmente importante sia nella sua musica che nella sua vita.
Egli ci ha fatto ascoltare il nastro del suo prossimo 'singolo', ''Yesterday man", un successo inglese molto commerciale che Chris Andrews aveva lanciato molti anni fa.
Perché Robert Wyatt, fondatore dei Soft Machine e dei Matching Mole, ascolta oggi Buddy Holly e Lee Dorsey, registra dei 'singoli' con la più grande disinvoltura e tutto ciò seguendo un indirizzo musicale tra i più originali?
E' questo che abbiamo cercato di scoprire con l'intervista che segue.
Nuovo Sound: L'incidente in cui sei incorso ed il riposo forzato che l'ha seguito ti hanno dato del tempo per ascoltare molta musica, molti dischi e tenerti al corrente su ciò che veniva fatto in questo campo. Forse precedentemente ti eri disinteressato di quello che avveniva nel mondo della rock-music?
Robert Wyatt: "Le sole persone che possono seguire tutto quello che avviene sono i giornalisti e coloro che lavorano nelle case discografiche perché ricevono i dischi gratuitamente.
Anche adesso mi ritengo assai poco informato su ciò
che avviene e potrà avvenire nel nostro mondo se facciamo eccezione, per esempio, per tutte quello che viene pubblicato dalla "Virgin" o da qualche altra casa discografica simile. Precedentemente, ascoltavo spesso delle registrazioni. Ma il problema sorgeva piuttosto dalla differenza tra la musica composta in vista di essere proposta durante i concerti e la musica per i dischi.
Quella che mi ha sempre particolarmente interessato è la musica per dischi, la quale presenta nei confronti della della musica per i concerti le stesse diversità che intercorrono tra il cinema ed il teatro.
I primi dischi che ho avuto modo di ascoltare erano dei dischi americani di jazz e devo dire in tutta sincerità che era assolutamente impossibile, riproporli sulla scena. Anche i loro autori non potevano. Ciò che apprezzavo di più in questi dischi era la doppia gran-cassa.
Quando un gruppo jazz è sul palco, se c'è una doppia gran-cassa voi non sentirete nient'altro che quella.
Un'idea di cosa intendo io per 'buon disco', la si può avere ascoltando "Magical Mystery Tour" dei Beatles che è a mio giudizio, pressoché impossibile da riproporre durante uno spettacolo "live".
Gran parte di quello che io canto necessita di essere eseguito con molta calma ed un forte accompagnamento. Evidentemente questo sulla scena non è possibile. E' questo paradosso che amo di più nei dischi. Quando canto in pubblico, invece, devo urlare; e non mi piace affatto urlare".
N.S.: Come è stata effettuata la registrazione di "Rock bottom". Forse Nick Mason, che l'ha prodotto, ha influenzato in modo" particolare i diversi brani?
R.W.: "L'album è stato realizzato in un tempo abbastanza breve. Ho passato quasi una settimana in campagna per registrare il piano, la voce e qualche percussione. In seguito ho portato le registrazioni a Londra e Nick si è incaricato di incidere gli altri strumenti. Precedentemente, quando registravo, una parte della mia musica era scritta prima, ma il resto risultava dall'improvvisazione. Al contrario "Rock bottom" rispecchia abbastanza fedelmente i piani che avevo approntato prima di entrare in studio. L'influenza di Nick si è manifestata soprattutto durante l'operazione di missaggio. Il suo sistema è abbastanza diverso da quello impiegato nel jazz.
Egli da vita ad una specie di 'soup' nella quale la sezione solista non è più importante della ritmica. Tutto è ben ordinato e più piacevole ad ogni nuovo ascolto. Io credo che in ciò sta il principale contributo apportato da Nick: egli ha dimostrato nel missaggio molta più acutezza d'ingegno di quanta ne avrei potuta avere io".
N.S. : Quale è il tuo concetto per quanto riguarda i testi nella tua musica?
R.W.:"In generale, io dico che le parole non sono importanti; ma in un certo senso so che questo non è vero. Io pongo abbastanza attenzione nella scelta dei testi che poi utilizzerò.
In generale, però, i musicisti che io preferisco non scrivono delle parole eccezionali; un esempio evidente: Randy Newman scrive delle parole fantastiche, Stevie Wonder no. Ebbene, io preferisco di gran lunga i dischi di Stevie Wonder perché dal loro ascolto appare chiaro come egli sì occupi soprattutto della parte musicale.
A mio giudizio non c'è niente di peggiore che scrivere prima i testi e poi musicarli. E te lo posso sempre dimostrare. Per esempio in "Madcap Laughs" di Syd Barrett è incluso un brano il cui testo è tratto da un poema molto bello di James Joyce ma musicalmente è il meno interessante. La stessa cosa accade sovente per Joni Mitchell. In questi casi si perdono quei valori musicali che sono cosi diversi da quelli letterari. I pezzi migliori sono quelli che hanno delle parole "stupide", o non ne hanno affatto ".
N.S.: E' per questo motivo che non ci si deve meravigliare quando tu incidi ora un brano come "Sea song" ed ora uno come "I'm a believer", perché in entrambi i casi i testi non hanno un senso preciso. Nel primo brano le parole sono sottili ma dal significato oscuro, nel secondo alquanto stupide.
R.W.: "Sì, penso che una buona canzone e una buona musica deve poter essere apprezzata anche e soprattutto da chi non parla l'inglese."
N.S.: Che cosa, in modo particolare, ti ha spinto ad incidere "I'm a believer" dei Monkees. All'epoca come li giudicavi?
R.W.: "Innanzitutto devo dire che questa canzone mi è sembrata facile da cantare, adatta alla mia voce. Mi piacevano molto le serie TV dei Monkees e non mi sono mai preoccupato di sapere se erano dei veri musicisti e se erano loro a suonare sui dischi. Pensavo soltanto che era un netto miglioramento in materia di show televisivi e che ciò che ci veniva da essi proposto era molto più valido di quelle trasmissioni che avevamo l'abitudine di vedere. E se ho inciso "I'm a believer" è stato un po' anche per attaccare quello snobismo che vuole a tutti i costi demolire questo genere di divertimenti 'leggeri'. Ciò che è grave, è che hanno rispolverato e rimesso in uso quella terminologia che mira alla separazione dell'arte 'seria' da quella 'leggera', la stessa in vigore al periodo della mia giovinezza.
Gli anni '50 e '60 furono veramente "eccitanti" perché questa barriera era scomparsa. Adesso, finalmente, ci sono alcuni artisti che tendono a mutare la situazione che si è creata, ed è proprio questo che mi piace di più in loro ".
N.S.: Al tempo del tuo debutto con i Wilde Flowers, a Canterbury, quale genere musicale seguivi? Forse la soul-music?
R.W.: "Non è proprio così. Inizialmente eseguivamo dei brani composti da Hugh (Hopper) o da Kevin (Ayers) e qualcuno da Brian (Hopper) e dal sottoscritto. Solo in un secondo momento, poichè non riscuotevamo molto successo, siamo passati. al soul. Proponevamo dei pezzi di Otis Redding, di Mose Allison ed anche di Bob Dylan, Brian Hopper e di Chuck Berry. Poco più tardi lasciai il gruppo che ormai annoverava tra i brani del suo repertorio tutti i successi della "Stax records", di Same & Dave, ecc.. ".
N.S.: Che cosa vi ha spinto a questa trasformazione così radicale? Forse la scoperta di musicisti come Terry Riley?
R.W.: "No, perché conoscevamo Terry Riley ancora prima di formare i Wilde Flowers. Ho conosciuto Daevid (Allen) e Terry Riley a Parigi quando, all'età di quindici anni, ho lasciato la scuola. Il processo, infatti, è stato per me inverso. Innanzitutto mi sono interessato della musica contemporanea, poi del jazz moderno. In un secondo momento sono passato dal jazz moderno a Terry Riley e ad altre esperienze di questo genere. Ed è stato solo dopo questo periodo che ho cominciato ad ascoltare Ray Charles o Mose Allison; e più tardi il rock. Ero molto in ritardo, infatti è soltanto verso i vent'anni che ho scoperto il rock. Credo che questa sia la ragione principale della mia diffidenza nei confronti di certi "snobismi" nella musica.
Se eseguite il mio stesso itinerario, quando arrivate a Ray Charles vi accorgerete che egli è importante come, se non di più, di Terry Riley.
Per quanto mi concerne, io sono stato sempre più attratto dalla musica "nera" che da quella europea. Il rhytm & blues, i vecchi Cecil Taylor, Mingus, ecc, sono per me molto più interessanti che qualsiasi altro compositore europeo.
Tornando ai Soft Machine; è a Londra che teniamo i primi concerti la cui durata supera le due ore. E' in questo periodo che riusciamo a realizzare e sviluppare tutte quelle idee che avevamo dal tempo dei Wilde Flowers".
N.S.: Che cosa stai per preparare?
R.W.: "In questo momento, c'è Fred Frith (degli 'Henry Cow') che ha scritto una musica molto bella, e sto cercando di aggiungervi delle parole ed in genere delle parti vocali. Vorrei anche registrare delle composizione di Hugh Hopper.
Un 'altra cosa che mi interessa in modo particolare in questo momento è quella di fare dei cori. Ne ho fatti recentemente nell'album di Brian Eno, e devo dire che mi sono molto divertito. E' una cosa che non avevo mai fatto sui miei dischi. Prossimamente realizzerò anche dei 'singoli'"
N.S.: Che cosa pensi degli LP di Mike Oldfield?
R.W. : "II suo modo di suona re la chitarra è uno di quelli da me preferiti. Ho suonato per un certo tempo insieme a lui quando era con i Whole World di Kevin, con Lol Coxhill e David Bedford. Era veramente bravo. Sono d'accordo con ciò che Mike pensa dei suoi prodotti. E' un musicista senza pretese. Inoltre bisogna considerare che ha composto "Tubular Bells" a diciannove anni.
E' fantastico! Ma non si tratta di un caso, né tanto meno di una gara con Debussy... ma soltanto di un intuito musicale eccezionale.
Quello che mi piace di più di lui è che fondamentalmente resta un musicista folk. E' una simpatica contraddizione quella sua di suonare della folk-music con 400 strumenti. Credo che gli sia servito molto l'aver collaborato con Bedford per le registrazioni del suo album "Star's end": Bedford è un vero esperto per quanto riguarda le orchestrazioni. Dopo queste esperienze, ciò che farà Oldfield risulterà sempre più interessante.
Quanti anni ha, adesso? Ventunanni? ad ogni modo, io non avrei potuto fare lo stesso".
N.S.: Sei ottimista per quanto riguarda il futuro della scena musicale inglese?
R.W.: "Piuttosto, della scena musicale mondiale. Non mi interessano molto i gruppi di rock inglese moderni. Sono stato particolarmente attratto dalla rivoluzione-rock degli anni'60, ma oggi sono più attratto dalla musica africana, per esempio da Mongezì Feza con il quale sarei veramente felice di registrare. Per tornare alla black-music, è la sua riscoperta che ci ha permesso di portare alla luce ciò che di più intuitivo e di più originalmente primitivo in noi".
N.S.: Quale è il tuo giudizio sui complessi europei?
R.W. : "E' abbastanza curioso, molti di questi gruppi sviluppano delle idee nate quattro o cinque anni fa, in altri complessi di cui ho fatto parte. Ciascuno di essi ne sviluppa un certo aspetto. Ora io, ho abbandonato molte di quelle strade e ne ho intraprese delle nuove. Insomma, posso dire di essere interessato a ciò che questi nuovi gruppi fanno, lo trovo simpatico, ma mantengo, per lo meno sotto il profilo musicale, una certa distanza tra loro e me".
N.S.: Pensi di intraprendere dei tour? Verrai anche in Italia?
R. W. : "E" Nick Mason, mio carissimo amico, che mi ha più volte detto di tenere qualche concerto e non solo in Inghilterra. Ma sebbene io non voglia cadere sotto la dittatura della sedia a rotelle, bisogna riconoscere che
i1 viaggiare mi pone una serie di problemi sia di origine pratica che e soprattutto medica sui quali non voglio molto insistere.
Qui, tutto è approntato per ridurre al minimo i miei problemi. Tenere regolarmente dei concerti mi creerebbe delle responsabilità sia di carattere sociale che personale nei confronti degli altri musicisti e del pubblico che interverrebbe. Tutto questo mi rende particolarmente nervoso.
Il problema è che coloro che tengono i migliori concerti sono musicisti come Gong che lavorano, lavorano, lavorano tutto l'anno senza mai fermarsi. E' questo l'unico modo per presentare dei buoni spettacoli. Allora penso che non riuscirei a fare niente di buono tenendo dei concerti solo di tanto in tanto.
E poi avrei potuto fare tutto questo dieci anni fa, ora significherebbe tornare troppo indietro e fare troppi sacrifici. "
Augusto Sciarra
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