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Cuckooland
2003
Robert Wyatt
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RUMORE 141 - Ottobre 2003
Robert Wyatt - Cuckooland (Ryko/I.R.D.)
Vittore Baroni & A. C.
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Ci sono personaggi che vivono lontani dalle logiche delle classifiche, incuranti degli assillanti meccanismi dell'industria discografica. Artisti che possono permettersi di determinare tempi e modi della loro produzione, operando in una dimensione a sé stante, impermeabile alle mode. Come i Kraftwerk, che vent'anni dopo pubblicano senza batter ciglio un album (ottimo) relativo al loro singolo Tour de France. Come Wyatt, che sei anni dopo riprende il discorso dello stupendo Shleep dallo stesso punto in cui l'aveva lasciato. Anzi, con un pizzico di solare serenità in meno, giacché nel frattempo la situazione nel pianeta (politica, ecologia e sociale) è andata ancor più degenerando, quindi alla rabbia di sempre (contro l'Occidente e la/le guerre) si affianca in tralice il rimpianto per beni e valori che paiono irrimediabilmente perduti, in questo inguaribile "mondo di pazzi".
Non sono certo novità eclatanti che ci attendiamo da un disco di Wyatt, bensì solidità di contenuti e alta qualità di ispirazione. Qui abbiamo entrambe le cose, e in dose massiccia (75'): le malinconiche, soffici melodie marchio di fabbrica del Nostro, figliastre di Monk e Chet Baker; i testi scarni e toccanti (una ninnananna per bimbi nati traumatizzati sotto i bombardamenti, di che altro merita scrivere?); una rinnovata voglia di suonare non solo le tastiere ma anche la cornetta, in distese modulazioni cool jazz (Old Europe fotografa il flirt parigino tra Juliette Greco e Miles Davis), e perfino con insolito impeto le percussioni. Sedici tracce, ognuna diversa e preziosa, che sarebbe esercizio futile (e ne manca lo spazio) sezionare: Forest, sullo sterminio delle tribù zingare e con la lancinante chitarra di David Gilmour, è l'inno estrapolabile dal mazzo, la Shipbuilding del caso. Merita piuttosto sottolineare il ritrovato desiderio di contornarsi di amici-collaboratori, strumentisti d'eccezione come la trombonista Annie Whitehead e il sassofonista Gilad Atzmon, la tastierista Karen Mantler (figlia di Michael, autrice di tre brani iperwyattianni) e ospiti come Eno e Paul Weller. Lo sforzo insomma di realizzare un lavoro di squadra (registrato al Gallery Studio di Phil Manzanera) piuttosto che chiudersi come in altre occasioni nel salotto di casa, che possiamo leggere anche come un'implicita nota di speranza. Come sussurra la compagna Benge nella traccia più scanzonata e intimista, Lullaloop: "dolci sogni, vecchio mio, dolci sogni".
V.B.
A cena da Bob
Dove si trova Cuckooland?
"Da noi cuckoo significa 'matto', 'stupido', 'sciocco': che tu intenda il termine in modo positivo o negativo. Per me è come, molto tempo dopo Alice nel paese delle meraviglie, 'Robert nel paese della follia'."
C'è un movente particolare che ti ha spinto a realizzarlo?
"No. Tranne il fatto che si tratta del mio lavoro, l'unico che posso fare. E ci riesco ancora. Come un cuoco, che lo fa perché gli piace cucinare ed è capace: non è molto diverso - il ristorante è il suo posto di lavoro. Io cucino a casa, ma non interessa a nessuno."
È un album lungo, con pausa in mezzo: sembra un doppio disco in vinile...
"Proprio così. Da quando faccio dischi ho sempre pensato che siano composti da due metà: diverse e complementari. E, dicendolo in modo pretenzioso, così è fatto il mondo: tutto è diviso in due parti. La doppia personalità di ognuno, interna ed esterna. Lo ying e lo yang in Oriente. L'uomo e la donna. Le due parti del cervello. È un meccanismo organico, il modo in cui la natura funziona. In realtà è difficile parlare della musica: ce l'hai in testa, la suoni, ma descriverla a parole è complicato perché non riguarda l'intelletto ma l'istinto. E allora buttiamola sul banale: generalmente gli altri inseriscono i bonus in coda ai dischi, mentre io li ho piazzati in mezzo."
A.C.
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MOJO
Robert Wyatt - Cuckooland (Domino 2003)
Jenny Bulley
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Wyatt's most welcome return, whiskery but ageless.
Six long years after Robert Wyatt's previous solo album Shleep, Cuckooland, arrived in troubled times. A baby born in Baghdad at the start of the first gulf war, the conditions facing gypsies seeking asylum from the Czech Republic and the plight of factory farmed sheep were all on the singing sticksman's mind in 2003 when Wyatt, along with poet wife lyricist Alfreda Benge, drafted in illustrious friends including trombonist Annie Whitehead, Dave Gilmour and Paul Weller on guitars, Brian Eno and Carla Bley's daughter Karen Mantler to indulge his taste in charmingly eccentric instrumentation, including, on Cuckoo Madam, the sort of toytown keyboards reminiscent of his 1976 keystone, Rock Bottom. A comfortable, wonky jazz feeling permeates the spare, sorrowful songs but the real star, as always, is Wyatt's ageless voice, softly crooning his whiskery wisdom as if soothing a skittish horse. Cuckooland is a lesson in achieving sophistication through economy, there is even a 30-second silence dividing the album into two parts ("for those with tired ears to pause..."). Ageing also concerns Lullaloop, one of Cuckooland's moments of light relief in which Wyatt gives affectionate voice to Benge's song about a grumbling old man trying to get to sleep ("Don that duvet/Cook that cocoa/Turn that music down!"). The overall effect is one of enchanting melody and sharp, informed songwriting, that arcane, folksy album title suggesting either Wyatt or the rest of us are living in cloud cuckooland and I rather suspect it's not him.
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ROCKERILLA - Ottobre 2003
Robert Wyatt - Cuckooland (Hannibal/IRD) RRRRR
Riccardo Bertoncelli
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II bianco uccello di "Shleep" ha continuato il suo volo e sei anni dopo è approdato a questa strana terra fantastica, a Cuckooland appunto. Wyatt, lui continua a dormire e a sognare. E' un sonno quieto, felice, non sono più le smanie "alla fine di un orecchio" o le nervose agitazioni che disturbavano certi dischi degli '80. Il vecchio signore sembra appagato e spande di buon umore il miele delle sue fantasie, senza però mai dimenticare il mondo che ha intorno. Così alcuni quadri di sogno sono nostalgia pura e gioiosa, come Juliette Gréco e Miles Davis nella Parigi incantata del 1957 ("Old Europe", dedicata a Mike Zwerin); ma in altre scene il colore non è così tenue, così dolce, e si levano allora lunghi spettri che neanche la luce del sogno può placare: la persecuzione dei Rom in "Forest", la causa palestinese in "Lullaby For Hamza" e "La Ahada Yalam", Hiroshima e Nagasaki sullo sfondo di "Foreign Accents".
Non chiamate questo disco "rock", farebbe sorridere. E' piuttosto un distillato di jazz onirico con molta voglia di raccontare delicatamente in forma di pop, con un paio di cover ("Insensatez" di Jobim, "Raining In My Heart" dal repertorio di Buddy Holly) che Wyatt saggiamente chiama "canzoni folk dell'era industriale". Un quadro sfaccettato e spezzettato, frammenti anche brevi messi insieme con l'aiuto della moglie Alfreda Benge, del produttore Jamie Johnson e di Karen Mantler, la fascinosa figlia di Michael e Carla Bley, che ha scritto tre belle canzoni in quella lingua "di famiglia" che tanto ha influenzato Wyatt negli anni. "Il fatto è che, con tutta la buona volontà, non riesco a venire a capo di più di una canzone all'anno", confessa candidamente RW. "Così, se non voglio pubblicare un disco ogni 15 anni, devo appoggiarmi ad altri."
Registrato come la volta scorsa tra gli studi di Phil Manzanera e casa Wyatt a Louth, "Cuckooland" è disco di liquide tastiere e chitarre sottili, di trombe appassionate (le suona lui in persona) e morbidi ritmi, con un bel giro di amici a collaborare: Annie Whitehead, Brian Eno, Karen Mantler, Gilad Atzmon, anche Paul Weller e David Gilmour in due apprezzati cameo. Wyatt può andarne fiero, anche se questo non scalfirà la sua invincibile modestia e understatement "ormai la mia voce è un borbottìo da avvinazzato", mente con un bel sorriso dei suoi, e spiega lo strano buco di 30 secondi a metà album con il fatto che "il CD è venuto troppo lungo, forse a un certo punto può venir voglia di una pausa o proprio di cambiare disco."
Advertising for Cuckooland in Rockerilla - Ottobre 2003 |
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THE GUARDIAN - 26 Sep 2003
Robert Wyatt, Cuckooland ((Hannibal/Rykodisc)
John L Walters
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A new Robert Wyatt album is cause for celebration. He has had an enormous (and mostly positive) influence on the most influential people in music - yet his recordings have an unfinished air, an artlessness or shyness that the unprepared listener may find disconcerting.
Cuckooland is typical: gloopy keyboards and flabby beats sit happily alongside superb musicianship and spine-tingling moments of charm and calm, while Wyatt's frail voice and tiny trumpet float aloft.
But Cuckooland is also full of tunes and feelgood riffs: it's an album that grows on its listeners. There is nothing wispy about the lyrics, many of which were written by Wyatt's partner, Alfreda Benge. Lullaby for Hamza was prompted by a Guardian article about an Iraqi woman and her son, while Forest refers to a Nazi extermination camp and Foreign Accents name-checks Mordechai Vanunu and Mohammad Mossadegh.
Joined by loyal chums such as Annie Whitehead, Gilad Atzmon, David Gilmour and Phil Manzanera, Wyatt maps out an alternative pop universe, as British as a cup of China tea.
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BLOW UP - Ottobre 2003
Robert Wyyat - Cuckooland (CD Hannibal/lrd) (16t-75:22)
Piercarlo Poggio
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Con personaggi di elevata statura artistica e umana, quale è senza dubbio Robert Wyatt, sarebbe utile rifarsi una verginità acustica ogni volta che mettono in pista una nuova produzione. Nel caso specifico può essere relativamente semplice, considerando la parsimonia con cui Bob da alle stampe i suoi manufatti. Occorre infatti fare un bello sforzo di memoria per risalire al 1997 e ricordarsi di cosa succedeva sul precedente Shleep. Meglio lasciar tranquilla la mente, far finta di non conoscere nessuna storia canterburiana e tantomeno come funzionavano le macchine soffici, e gettarsi a corpo morto su "Cuckooland", esattamente come se si trattasse di un album di un debuttante. Ne ricaveremo così più di una suggestione positiva, a cominciare da una splendida Old Europe che sa di jazz parigino in bianco e nero anni cinquanta con assenza di retrogusto mefitico o da una Forest con annesso David Gilmour che dall'inconsistenza dell'inizio si ispessisce sino al culmine di un finale a quattro voci (quella di Brian Eno compresa). "Cuckooland" ha una durata infinita, ma non viene mai da dire che è troppo lungo e poi, saggiamente, tra l'ottavo e il nono brano, Robert ha lasciato un vuoto di trenta secondi, così c'è il tempo per mettere su l'acqua per il té. Soltanto dove la voce di Wyatt è troppo dominante e solitària (Cuckoo Madame, Life Is Sheep) si ingenera a tratti una sensazione di ingolfamento, come al termine di un lauto pranzo, il che, come tutti sanno, non
significa che il pranzo sia stato di scarsa qualità. La finezza con cui il padrone di casa sa introdurre portate fuori dell'ordinario (le complicate figurazioni ritmiche di Trickle Down, l'Insensatez brasiliana di Jobim, le ondulazioni solo strumentali di La Ahada Yalam di Nizar Zreik) è fuori discussione e altrettanto indiscutibile è la sua abilità nel mettere a proprio agio gli ospiti (tra i nomi di riguardo, oltre a quelli già menzionati, siedono a tavola Phil Manzanera, Paul Welter, Karen Mantler, anche in veste di autrice, e la sempre eccellente Annie Whitehead al trombone), i quali danno la netta impressione di aver pagato per esserci e non di essere stati pagati per fare numero. E se la musica di "Cuckooland" può in definitiva apparire sollevata di una buona spanna da terra, basterà gettare uno sguardo ai testi per comprendere che non è così: "zingari, bombe, pace, Hiroshima" sono vocaboli che non necessitano di alcuna spiegazione ulteriore. L'artigiano Wyatt e la sua musa Alfie anche stavolta hanno fatto un buon lavoro e possono tornare sereni a contemplare la campagna, lasciando ai forzati della nota il compito di infastidire il mondo con i tour promozionali. (7/8)
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LIBERATION - 26 septembre 2003
Les stances de Robert Wyatt
Nick Kent
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On peut faire confiance à Robert Wyatt, l'ex-batteur de Soft Machine cloué sur une chaise roulante depuis 1973, pour pointer du doigt la dérive d'un monde chaque jour davantage contrôlé par la droite. Pour son premier album depuis six ans, le surdoué s'est entouré d'amis comme Eno, Phil Manzanera et David Gilmour, ce qui n'empêche pas certains titres de sonner comme des démos home-made habillant ses vocaux de vieux clodo. Plus important, Wyatt retrouve ses vieux compagnons Alfreda Benge et Karen Mantler sur plusieurs stances virulentes. Le Beware de Mantler est un constat glaçant sur la paranoïa globale, les paroles de Benge sur Cuckoo Madame tentent d'exprimer quelque sympathie pour Margaret Thatcher et sa lutte contre la maladie d'Alzheimer... Le scientifique israélien emprisonné Mordechai Vanunu, l'ex-leader iranien Mohammad Mossadegh, les morts de Hiroshima, de Nagasaki et les victimes du nettoyage ethnique en ex-Yougoslavie hantent ces chansons, mais Wyatt parvient toutefois à insuffler une certaine tendresse à certaines, comme Old Europe, ode au Paris du milieu du XXe siècle. Pas vraiment easy-listening, mais courageux et visionnaire, Cuckooland s'impose comme l'une des rares réussites artistiques de l'année. Vivement recommandé.
Cuckooland (Ryko/Naïve).
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LES INROCKUPTIBLES - 30 septembre 2003
Robert Wyatt - Cuckooland - Rykodisc - Naïve
Richard Robert
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Les premières mesures de Cuckooland, où quelques coulures de cornet glissent sur une nappe de synthé bon marché, ramènent l’auditeur en terrain familier, une manière de dire que, six ans après Shleep, Robert Wyatt a choisi comme toujours de changer dans la continuité. Mais le terrain est si fertile, si prodigue de beautés et d’inventions, qu’on se laisse une fois de plus surprendre. Il y a d’abord la classe phénoménale d’un musicien qui réussit à enchaîner les figures harmoniques, mélodiques et rythmiques les plus acrobatiques sans jamais donner l’impression de s’adonner à de pénibles tours de force. Il y a cette voix à la fois neuve et ancestrale qui unifie cette improbable mosaïque, cette voix d’enfant centenaire qui n’est pas n’en déplaise à Ryuichi Sakamoto ? “la plus triste du monde” : simplement la plus littérale et la plus musicale du monde.
Il y a aussi l’extraordinaire fond de jeu d’une équipe d’instrumentistes qui, de Karen Mantler à David Gilmour, du clarinettiste israélien Gilad Atzmon à la tromboniste Annie Whitehead, donne à chaque trait mélodique la couleur et la vibration requises. Il y a enfin cette place nouvelle accordée au jazz, qui n’apparaît plus seulement en filigrane, mais de manière très explicite, comme sur ces véritables airs à swinguer que sont Old Europe ou Trickle Down. Cet hommage à la musique qui l’a éveillé n’est pas le seul moment fort d’un disque extrêmement dense : toutes les chansons, ici, peuvent facilement faire l’objet de plusieurs niveaux de lecture (musical, poétique, politique, sentimental’), sans que la limpidité ni la légèreté de l’ensemble en soient pour autant altérées. Comment Wyatt réussit-il à créer une musique aussi chargée et aussi aérienne ? Face à une telle question, l’Anglais répond qu’il n’est pas psychologue pour un sou et qu’il n’est pas doué pour l’introspection.
S’il est un musicien hors compétition, l’Anglais n’a pas renoncé pour autant à son amour du jeu. Et c’est bien ça qu’on entend de bout en bout dans Cuckooland, comme dans une épatante compilation d’inédits qui vient de sortir, Solar Flares Burn for You (1972-2003). C’est peut-être là l’enseignement délivré par l’œuvre de Robert Wyatt : l’amour de la musique, quand il est porté par une telle fraîcheur d’intention et d’expression, rend beau, intelligent, heureux et sensible. Une vérité qu’on est en droit d’estimer naïve, voire mièvre, mais qui trouve pourtant dans Cuckooland sa plus indiscutable transcription.
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WIRE - september 2003
Robert Wyatt - Cuckooland - Hannibal HN1468 CD
Clive Bell
Photo : Keiko Yoshida
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1997's Shleep was rereleased in 2002, but Cuckooland is Robert Wyatt's first album of the new millennium. The ex-singer and drummer from Soft Machine and Matching Mole lives quietly in Lincolnshire, writing "about one song a year" with his wife, Alfreda Benge. Ryuichi Sakamoto once said that Wyatt had "the saddest voice in the world", and for those of us who regard him fondly as a member of some kind of British alternative royal family, it's a pleasure to see him credited with 'coronet' on the first track. Presumably that's a typo, because Wyatt plays plenty of cornet and trumpet (his first instrument, childhood violin lessons notwithstanding) throughout Cuckooland - to lovely melancholy effect on "Old Europe", which is about Juliette Greco and Miles Davis in Paris in 1949. That title's reference to Donald Rumsfeld's anti-French sneering on the eve of the Iraq war is no accident.
Over the last three decades Wyatt has staked out his musical patch by borrowing widely from both jazz and 'beat music'. His 1974 pop hit with The Monkees' "I'm A Believer" was an appropriate response to the jazz instrumentalists who got him sacked from Soft Machine. If Shleep was a poppier, brighter vision than usual, for Cuckooland Wyatt has nudged the dial back towards jazz. The album is also murkier and more understated. The good news is that there are classic songs here, some good jokes, glorious old fashioned harmonica courtesy of Karen Mantler, and yet more proof of Wyatt's amazing ability to write a moving melody about the grimmest of topics without trivialising or patronising them. "Forest" is a rich goulash of a song, with a double-layered chorus and Brian Eno joining the choir for the counter-melody. After a couple of listens you'll be singing too, and yet the lyrics deal with World War Two gypsy extermination camps. "Foreign Accents" loops a six word lyric - four of them Japanese - for a nursery rhyme about Israeli nuclear weapons and CIA meddling in Iran. Wyatt has been here before, of course. "East Timor" on 1985's Old Rottenhat was minimal, caustic and unforgettable. And those who remember with pleasure Shleep's "Free Will And Testament" (a pop ditty that tackles head-on the limitations of human free will) will enjoy Cuckooland's opening track, "Just A Bit", where Wyatt takes on a rich subject: is religious belief a good thing? "Superstition's like religion, bonsai version -faintly sad." It's "I'm A Believer" dragged into 2003. "I'm not a political activist - more an aesthete and self-indulgent piss-artist," Wyatt told The Guardian early this year. He says of his voice that it has "ever-decreasing range, now more or less reduced to a wino's mutter". His self-assessment is a little harsh, for Wyatt can still negotiate the beautiful high melody of "Lullaby For Hamza" (about the bombing of Baghdad) better than any other male vocalist I can think of. The grumpy wino speaks out on "Lullaloop", a hilarious complaint about fast walkers and noisy neighbours. But it's true to say that much of the singing is understated, whether from Wyatt or his guest Karen Mantler (Carla Bley's and Mike Mantler's daughter, who contributes three songs). Sometimes the mix swamps the voices a little, a shame given the quality of the lyrics. This problem is not helped by Wyatt's current fondness for a real stinker of a synth - a huffing, twinkling breeze of digital halitosis that has been mixed more generously than it deserves.
On the musical plus side there is plenty of sax, clarinet and flute from Israeli exile Gilad Atzmon (formerly of Ian Dury's Blockheads). Also dark, treacly trombones from Annie Whitehead, spot-on guitar from Paul Weller on "Lullaloop", and Mantler's spine-tingling harmonica. Not to forget Wyatt's drumming, which, like his trumpet, is more in evidence than usual. When the atmosphere threatens to turn dark and glum, Wyatt clears the air with a parlour piano rendition of Buddy Holly's "Raining In My Heart", or a simple duet with Mantler on Carlos Jobim's Brazilian classic, "Insensatez".
Wyatt can justly be proud of this batch. Shleep raised the bar very high, but Cuckooland is a substantial and deeply personal work, with the light touch of a true master. At 75 minutes, it's also a generously long collection, and the boss has thoughtfully included a half-minute break in the middle, "long enough to change the record or put on the kettle".
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