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 Robert Wyatt - Confessioni di un cittadino del mondo - Rumore - N° 141 - ottobre 2003





La domanda più difficile arriva alla fine, dopo aver preso un po' di confidenza. A giugno facevano 30 anni dall'"incidente". Straordinario batterista e cantante dal timbro inconfondibile, prima nei Soft Machine e poi per conto proprio, con e senza i Matching Mole, e in generale personaggio chiave nella scena musicale inglese fra i tardi anni Sessanta e i primi Settanta, in bilico fra "scuola di Canterbury" e psichedelia "militante", Robert Wyatt ebbe allora uno scontro frontale col destino. Al culmine di un party piuttosto esuberante precipitò da una finestra: ebbe salva la vita ma la frattura delle 12^ vertebra lo rese paralizzato dalla vita in giù, condannandolo a vivere su una sedia a rotelle.





Aveva 28 anni. Ora va per i 59 e ha l'aria di un vecchio saggio. Gli chiedo se rifarebbe tutto quello che fece quella notte, eccessi inclusi... "No, ma non per la ragione che potresti pensare", risponde. "Non lo rifarei perché è seccante quando qualcuno ha una crisi simile in pubblico e imbarazza chiunque. Era una festa fantastica e di colpo, dopo che io caddi ubriaco dal quarto piano, la festa finì. Ho un senso di colpa per ciò che accadde. Ma sono le cose che fanno i ragazzi: richiamare l'attenzione su di sé in modo drammatico. La giovinezza è fatta di quello: nel mio caso gli eccessi erano un modo per semplificare la ricerca di me stesso, per trovare la mia strada e mettere a fuoco la mia identità artistica. Dunque non cambierei le circostanze: mi limiterei a rompermi la schiena in modo più discreto.

Fare musica è diventato da allora materialmente difficile per lui: niente tournée e rarissime apparizioni pubbliche. All'immobilità fisica Robert Wyatt oppone tuttavia un invidiabile dinamismo intellettuale. L'una cosa e l'altra lo rendono così outsider nell'accezione più pertinente del termine. Dischi quando capita: generalmente di qualità elevatissima, ancorché appartati rispetto al corso degli eventi musicali - da Rock Bottom, concepito durante la lunga degenza seguita all'"incidente", al nuovo Cuckooland. E' quest'ultimo a fornire il pretesto per la nostra conversazione.


QUAL È IL TUO APPROCCIO ALLA MUSICA, VISTO CHE NON LA PUOI AFFRONTARE COME "MESTIERE" A TEMPO PIENO?

"Devo inventare continuamente un modo di essere. Per ragioni pratiche: stare su una sedia a rotelle significa condurre un'esistenza diversa da quella della maggioranza delle altre persone - fare il paraplegico itinerante richiederebbe una quantità di soldi che non ho. Ma anche per come sono: negli anni Sessanta non ce la facevo a guidare un gruppo, né a sopportare di essere in gruppi guidati da altri. Ero insofferente al controllo altrui, ma nello stesso tempo non avevo la forza necessaria per esercitarlo. Perciò l'unico modo era di affrontare un progetto alla volta con le persone che a seconda dei casi mi sembravano adatte. Non ho mai pensato alla musica come al lavoro di una troupe che gira il mondo col suo spettacolo. Mi sono sempre immaginato piuttosto come un regista cinematografico. Sono una specie di film-maker..."

MA I REGISTI LAVORANO SU UNA SCENEGGIATURA, E MI DICEVI CHE PER CUCKOOLAND NON NE AVEVI UNA PRECOSTITUITA...

"Non avevo un piano...Ma adesso che mi ci fai pensare, quell'analogia è forse imprecisa. Diciamo che il momento in cui mixo il disco è come la fase di montaggio di una pellicola. Un film che mi ha influenzato tantissimo è Ombre: John Cassavetes lo ha costruito come fosse una jam session di jazz - aveva un tema su cui gli attori improvvisavano e solo alla fine, in fase di montaggio, lo ha organizzato in chiave drammaturgica. E' quello il bello dell'improvvisazione: che il senso si ricava alla fine, non viene imposto all'inizio."

I MUSICISTI CHE COLLABORANO CON TE - IN QUESTO CASO: BRIAN ENO, PAUL WELLER, DAVID GILMOUR, PHIL MANZANERA... - LO FANNO PER AMICIZIA O SINTONIA ARTISTICA?

"Accade in modo naturale, come bere una tazza di tè insieme. Niente di complicato, con grande rilassatezza. Ognuno entra dentro la storia con la sua personalità. Quando mi accingo a realizzare un disco, faccio conto solo sulle mie forze: non si sa mai.. .Poi arrivano. Non sono mai io a invitarli: sono troppo timido. Sanno che sto lavorando, si fanno vivi, capitano lì. Nessuno di loro ha responsabilità del risultato finale: quella spetta a me. In Forest c'è la chitarra di David Gilmour: si è portato il pezzo a casa e ci ha messo su qualcosa - effetti, piccole note, roba improvvisata... Brian Eno, invece, veniva in studio occasionalmente coi suoi strani aggeggi: ascoltava e diceva - 'Lasciami mezz'ora solo col computer, vorrei fare qualcosa su quella chitarra.' Io uscivo, mi facevo un té, poi tornavo e lui aveva combinato effettivamente qualcosa, anche se non so bene cosa! Lo stesso con Paul Weller: non gli avevo detto niente, nemmeno sapevo che sarebbe arrivato - è venuto mentre facevamo Lollaloop, mi ha detto che magari poteva metterci su due accordi di chitarra e così è stato."

WELLER È IL PIÙ GIOVANE DELLA COMPAGNIA, APPARTIENE A UN'ALTRA GENERAZIONE: COME LO HAI CONOSCIUTO?

"Ci eravamo incontrati a una manifestazione contro l'apartheid, anni fa. Poi ha lavorato con me a Shleep (il disco precedente, ndr): arriviamo da sponde musicali quasi opposte, eppure abbiamo trovato un punto in comune. Apprezzo come si applica sulle cose, il suo impegno e la sua serietà, lo stile con cui combina musica e politica."

VERA NOVITÀ IN CUCKOOLAND È LA PRESENZA DI KAREN MANTLER,
AUTRICE DI TRE BRANI. PUOI PRESENTARCELA?

"La conosco da quando era bimba: è figlia di Carla Bley e Michael Mantler, musicisti con cui ha collaborato a lungo in passato. Da adolescente era una punk, niente a che vedere col jazz o cose simili. Poi però ha cominciato a scrivere canzoni e curiosamente è affiorata l'influenza dei genitori, non saprei neanch'io dire bene come. Suona l'armonica con uno stile tutto suo, molto particolare. Ha un gruppo a New York, si esibisce nei bar e nei ristoranti: non ha grandi aspirazioni di carriera, ma dispone di un vero talento. Mi piaceva l'idea di far ascoltare le sue canzoni a un pubblico più ampio. Io ne sono affascinato."


Parla di lei come fosse una figlia, con affetto. Due volte padre, Robert Wyatt è anche nonno di due nipotini - e un terzo è in arrivo. Una famiglia creata con l'inseparabile compagna Alfie Benge: sovente autrice dei testi delle sue canzoni e da sempre illustratrice delle copertine degli album in cui esse confluiscono. Non fa eccezione Cuckooland.


UN DISCO DOPO SEI ANNI DI SILENZIO: INTANTO IL MONDO È CAMBIATO - IL BOOM DI INTERNET, L'11 SETTEMBRE, LA SECONDA GUERRA IN IRAQ...

"Non sono cambiamenti veri e propri: è l'evoluzione nella continuità di quello che io chiamo l'Impero Anglofono, che ha cominciato a esercitare il proprio potere durante il XX° secolo, mutuando da quello precedente l'idea del dominio imperiale. Vero: adesso è molto più forte che in passato, un vero totalitarismo su scala planetaria. E io provo vergogna a essere cittadino di una delle nazioni che lo incarnano."

QUALI DIFFICOLTÀ COMPORTA ESSERE UN INGLESE DISSIDENTE?

"Anche se non posso far finta di niente, evitando di pormi il problema di chi mi rappresenta nel mondo, personalmente rifiuto l'idea di identità nazionale. Per me una nazione non è altro che un luogo geografico creato per convenienze amministrative: un modo pratico per risolvere questioni come la distribuzione dell'acqua o dell'energia elettrica. Ma ciò non ha alcun significato metafisico: il nazionalismo è una religione come un'altra. Se guardi una carta geografica del pianeta ti rendi conto che i confini sono conseguenze burocratiche di decisioni politiche. Perciò non provo senso di identità con il paese in cui vivo. Mi piace molto parlare con Gilad Atzmon, che suona il sax in Cuckooland: in gioventù era soldato nell'esercito israeliano, ai tempi della guerra in Libano, e fu indottrinato con il narcisismo spirituale tipico di quello stato, ma era appassionato di jazz e aveva in testa un'idea di nazione immaginaria che andava in senso opposto, un luogo di inclusione anziché di esclusione. Perciò è emigrato, diventando cittadino inglese. E lo stesso vale per Yaron Stavi, che nel disco suona invece il basso. Pur arrivando da storie e retroterra completamente diversi, abbiamo in comune un'utopia - io vivo là."

IN CUCKOOLAND C'È UNA CANZONE INTITOLATA OLD EUROPE CHE DESCRIVE LA PARIGI DEL SECONDO DOPOGUERRA: PUOI SPIEGARNE LA GENESI ALLA LUCE DI QUANTO HAI APPENA DETTO?

"All'inizio avevo in testa solo la melodia: una specie di evocazione dei vecchi film francesi ed europei in bianco e nero, con l'eco delle musiche che li accompagnavano. E' stata Alfie a scriverne il testo, e quando lei compone non lo fa mai in modo razionale: parte da un'immagine o da una suggestione, qualcosa di piccolo e definito - un posto, un'epoca, una situazione: sovente astratta. Nel caso di Old Europe il risultato mi è piaciuto molto: Alfie mi conosce bene e sa che da giovane, quando ho scoperto il mondo, sono stato a Parigi, così come del resto anche lei, e che di quella città mi aveva colpito la ricettività culturale - il jazz era più popolare là di quanto fosse in America. E il titolo della canzone, "Vecchia Europa", allude proprio a quello: a quanto l'Europa possa essere un luogo accogliente..."

OPPONI L'IDEA DI EUROPA AL NAZIONALISMO LOCALISTICO?

"No, vale il ragionamento che facevo a proposito del 'sentirsi inglese': la costruzione di un'identità europea non può essere fatta a tavolino, per ragioni amministrative. Difendo però il concetto di Europa come luogo capace di accogliere nuove idee. Fu importante per me scoprire in gioventù la possibilità di una cultura fatta di identità multiple."


FAI ANCORA POLITICA MILITANTE? RICORDO CHE ERI ISCRITTO AL PARTITO COMUNISTA...

"Non c'è più un Partito Comunista in Gran Bretagna! Ha fatto harakiri. Finché c'era, ne facevo parte. E mi sento ancora comunista. Mi sembra l'unica via per rendere migliore il mondo, nonostante tutto. E' l'unica risposta al totalitarismo capitalistico."

TE LO CHIEDEVO PERCHÉ MI PARE CHE NEI VERSI DI ALCUNE CANZONI, LULLABY FOR HAMZA IN PARTICOLARE, ALL'ARDORE POLITICO SIA SUBENTRATA LA RASSEGNAZIONE: LE NINNE-NANNE COME UNICO ANTIDOTO CONTRO LE BOMBE...

"Anche quello è un testo scritto da Alfie. Per me spiegarne il senso sarebbe come voler interpretare ciò che Costello voleva dire con Shipbuilding (brano di cui Wyatt offrì un'interpretazione memorabile nel 1982, ndr). Ma ci provo, dico quello che significa per me. Mi pare valorizzi il punto di vista delle vittime, quando invece a proposito della guerra si parla sempre degli eserciti, dei leader, delle Forze del Male, dei dittatori e dei loro corpi scelti, raramente della gente comune - medici, infermiere, agricoltori, insegnanti, ragazzi e bambini. Sono loro i grandi assenti dai notiziari. E Alfie prova compassione per le vittime dei bombardamenti: è cresciuta in Europa, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, e ha visto i segni di quelle devastazioni, ha ascoltato i racconti dei sopravvissuti. Anche solo ricordare che quelle sono persone come noi, ed è dunque come se noi fossimo sotto i bombardamenti, è un atto politico. Si tratta di individui, non di numeri nelle statistiche. Migliaia di individui."

ALLA FINE DI CUCKOOLAND C'È UNA CANZONE ARABA: LA AHADA YALAM. E' GIUSTO INTENDERLA COME UN ACCENNO DI SPERANZA?

"Quando ho cominciato a preparare il disco non avevo idea di dove sarebbe andato a finire. L'ho capito a cose fatte. E quella canzone in coda, così come quella all'inizio (Just a Bit, ndr), gli da un senso. In fondo La Ahada Yalam dice solo che c'è la speranza che domani sia un giorno migliore di oggi: a volte accade. L'ha scritta Nizar Zreik, un arabo di Haifa, ma io l'ho conosciuta nella versione di Amai Murkus. Trovo fondamentali gli ultimi versi: 'Eppure so che le vittime di domani/renderanno un'alba nuova/più vicina. Ma chi può dirlo.' E' quel concetto, 'nessuno sa', a essere in qualche modo intollerabile. Il fatto che per un futuro diverso debbano essere sacrificate delle persone... Ma credo sia nella natura umana. Alla fine il potere della musica è quello: creare incantesimi, pregare gli alberi, le montagne e il mare, anche se magari alla fine scopri che là non c'è nessuno. Mi fa rabbia ancora adesso pensare alle amnesie storiche e politiche di cui l'uomo è costantemente vittima. Ma so d'altra parte che non può essere altrimenti. E' giusto che ogni generazione nuova cresca senza ricordare il passato: i giovani hanno delle cose da fare prima di doverci pensare su - sesso, lavoro, cibo... Portassero sulle spalle tutto il fardello della storia, non ci riuscirebbero. Perciò un po' di amnesia è necessaria. Col passare degli anni mi sono rassegnato all'idea che non puoi insegnare le cose: le persone devono sperimentarle sulla propria pelle. Tutto ciò che puoi fare è essere testimone del tuo tempo e trovare consolazione nelle persone che hanno una sensibilità simile alla tua."

INDUGIANDO ANCORA SULLE CANZONI DI CUCKOOLAND: PERCHÉ HAI SCELTO DI INCLUDERE LE COVER DI INSENSATEZ (ANTONIO CARLOS JOBIM) E RAINING IN MY HEART (PORTATA AL SUCCESSO DA BUDDY HOLLY)?

"Sono due canzoni americane: anche se dare dell"americano' a un brasiliano può sembrare improprio. Ho sempre cercato di incorporare nella mia musica ciò che ho imparato ascoltandone altre. Le mie radici di compositore affondano nella musica popolare, nelle canzonette. Credo ancora nella forza che hanno e mi piace ricordare l'effetto che facevano su di me quando ero ragazzo: l'eccitazione di ascoltare Buddy Holly nei jukebox. Non che io sia in grado di riprodurla: posso conservarne :il ricordo, la sensazione vaga che mi ha lasciato in testa - perciò Raining in My Heart è diventata senza parole e tutt'altro che rock'n'roll. Quanto alla musica brasiliana, ricordo che prima dell'avvento del rock'n'roll quasi dominava il mondo con il suo linguaggio multiculturale: mi piaceva tantissimo."

MA ASCOLTI ANCORA LE CANZONI POP?

"In verità ascolto soprattutto i dischi di chi lavora con me: negli ultimi tempi quelli di Yaron Stavi e Gilad Atzmon, in particolare. Sono aperti stilisticamente e geograficamente. La musica pop non è più roba per me: non riesce a coinvolgermi. Me la facessi piacere, sarei un pedofilo culturale. Ma difendo l'idea di pop music da chi l'attacca dicendo che è spazzatura. So che effetto fanno le canzonette: la loro semplicità, qualcosa che tutti possono canticchiare divertendosi. Guarda questo giadino: ci sono le piante secolari, grandi e solide come i compositori importanti, e là ecco i fiori, che durano lo spazio di un mese, sono effimeri, e domani ce ne saranno altri al posto loro, ma sono altrettanto belli e hanno pari dignità - così è per le canzonette. Ci fossero solo gli alberi, il mondo sarebbe più povero."


Alberto Campo

       
     
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