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 Del corso del tempo Robert Wyatt - Faremusica - N° 128 - Novembre 1991






el mirabile equilibrio tra il lirismo descrittivo dei versi di Alfreda Benge e l'impegno politico di quelli dello stesso Wyatt, il suo nuovo disco, Dondestan, è un'opera che ci riconsegna un artista assolutamente atipico.

Con Wyatt è facile parlare e non si corre il rischio di restare intrappolati nel gioco delle parti che spesso è un rifugio per chi intervista e chi viene intervistato. Aiutati dalla tenera immagine della copertina di Dondestan, potevamo quasi immaginarlo accanto a una finestra affacciata sulla campagna.

E in questa dimensione, che suggerisce al tempo stesso distacco dalla velocità frenetica degli avvenimenti e profonda partecipazione emotiva, il lungo silenzio di Wyatt assume contorni inediti e imprevisti. "Non ho molto il senso del tempo - afferma - il tempo passa e io non me ne rendo conto. Mi sembra che ci sia un Natale ogni cinque minuti. Credo che i1 problema sia questo: io vivo in una scala temporale sbagliata
(ride), Io sono una persona che pensa lentamente, in un certo senso, e noi viviamo in un 'epoca di mezzi di comunicazione veloci, di informazione veloce, di digestione veloce. Io, dal punto di vista biologico, non sono cambiato, non mi sono adattato; vivo ancora nell'età della bicicletta, il mio cervello non è ancora nell'epoca delle automobili. Ho bisogno di tempo per pensare".

Questa lentezza nel mettere alla prova la propria creatività non è quindi vissuta come difficoltà o come un problema.

"Un problema è che non vivo vicino a Londra e così non ho intorno a me molti musicisti che conosco, Devo essere musicalmente autosufficiente. Vedo pochissime delle persone che frequentavo una volta. Vivo con mia moglie Alfie, sua madre e un cane, e ho pochi amici in città, che non sono musicisti. Questo mi deve bastare e mi sta bene, ma vuole anche dire che devo trovare più risorse in me stesso. Il momento decisivo per me, per questo disco, è stato la scoperta delle poesie di mia moglie. Era difficile lavorarci, perché questi versi non sono stati scritti per diventare canzoni, non sono stati scritti perché io li cantassi. Alfie ha scritto delle poesie per sé stessa. Questo voleva dire che io non dovevo utilizzare le normali strutture forti delle canzoni per molte di queste poesie; dovevo inventare delle strutture che andassero con maggior naturalezza insieme alle parole".

La differenza delle canzoni con i testi di Alfreda Benge va dunque al di là di quella evidente e immediatamente percepibile che attiene agli argomenti - dalla politica di Wyatt alla contemplazione lirica della realtà di Alfie - e ha agito perfino sulla scrittura musicale, le ha dato la ricchezza di un punto di vista diverso. "Le poesie sono quasi fotografie di un periodo o di un tempo preciso. Ci sono immagini assolutamente concrete in tutte le sue poesie. Alfie ha seguito un corso di regia cinematografica e penso che veda le cose quasi come un regista. Questo è uno stimolo meraviglioso, per la voce".

La solitudine di questo artista straordinario - la cui opera, difficilmente catalogabile, abbraccia ormai più di due decenni - dipende in gran parte dall'incidente che lo ha immobilizzato su una sedia a rotelle, ma non sembra pesargli più di tanto. Wyatt non avverte - o lo avverte soltanto in parte - il bisogno di collaborare con altri musicisti.




"Per questo non credo che ci sia una regola. Ogni brano quando arriva è come se arrivasse nella mia mente - fa le sue richieste, le sue domande. Così può accadere che la musica su cui lavoro io possa suonarla da solo, che non richieda del virtuosismo strumentale, che richieda soltanto che gli strumenti siano adatti alla voce. Ma per altre canzoni ho bisogno di un pianista come Dave McRae per suonare, per essere sicuro che gli accordi siano quelli giusti. Qualche giorno fa stavo ascoltando un vecchio nastro di Mongezi Feza (il trombettista scomparso pochi anni or sono, n.d.r.) e posso immaginare il suono della sua tromba come un complemento molto buono per la mia voce o come un'alternativa ad essa in un disco. Vorrei che Mongezi fosse ancora qui".

Un altro dato essenziale, oltre a quello della collaborazione con altri artisti, è il confronto con il pubblico, un misurarsi nell'esecuzione dal vivo della propria musica che appare sempre più faticoso e improponibile per Wyatt.

"E' molto difficile organizzare una cosa del genere e così ho deciso di non farlo. L'ultimo concerto l'ho fatto proprio a Roma, a Piazza Navona, con gli Henry Cow. E' stato divertente, ma anche fisicamente ora non sono così forte. Ricordo che dopo il sole
(era l'estate del 1973, n.d.r.) e un po' di birra ero molto stanco e facevo fatica per dare il meglio di me e controllare la voce. In studio, se mi stanco, posso aspettare e ricominciare, ma in un concerto devi suonare quando sei lì... Non potrei garantire il controllo sulla qualità".

Fra le sue molte qualità, Dondestan possiede quella della chiarezza, della perspicacia nell'analisi politica e sociale. Nel temperamento di Wyatt non c'è l'irruenza tipica degli esponenti del combat rock, ma le sue affermazioni hanno in ogni caso una forza incredibile. Nell'epoca del "tramonto delle ideologie" e della "morte del consumismo", la voce di Robert Wyatt continua a cantare a favore dei deboli e degli sfruttati, contribuendo all'edificazione di un'informazione realmente alternativa.

"Ogni dieci anni un settimanale pubblica una foto di Karl Marx in copertina e scrive che il marxismo è finito. I giornalisti occidentali hanno cominciato a scrivere cose del genere già nel 1923... Aspettiamo e vediamo cosa succede (ride). Quel che so è che non riesco a immaginare un'analisi del mondo che abbia un qualche senso senza una comprensione del marxismo; nello stesso modo è impossibile capire l'evoluzione senza Darwin. Mi sembra impossibile negare l'importanza di questa analisi. Il sistema in cui viviamo mette sempre i potenti contro i deboli, divide la gente che dovrebbe essere unita. E' la natura stessa del sistema, ma spero di sbagliare... A me non interessano i sistemi. Se il sistema morisse, entreremmo in un 'era di pace e di prosperità per tutti e io sarei la persona più felice del mondo".

Giancarlo Susanna

       
     
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